Negli ultimi anni l’intelligenza artificiale (Artificial Intelligence - AI) si è insinuata nelle nostre vite entrando silenziosamente nel quotidiano. Ha attraversato in sordina le pareti degli uffici, è entrata nelle case, si è accomodata tranquillamente tra le nostre abitudini. Il suo miglioramento corre a una velocità che la tecnologia non aveva mai mostrato prima: pochi mesi sembrano ere geologiche, e ciò che oggi stupisce, domani diventa ordinario. L’accesso gratuito – o quasi – alle piattaforme più diffuse alimenta la promessa di un futuro più semplice, mentre gli economisti prospettano un mercato in pieno fermento. La rivista americana Time ha scelto AI come Persona dell’Anno 2025 e parla di un “punto di non ritorno”.
Eppure, dietro questo progresso così disinvolto, è difficile non scorgere qualche ombra inquieta: un dispositivo in grado di capire il linguaggio umano può evocare più di un brivido lungo la nostra schiena.
Per far luce su questa tensione tra entusiasmo e timore, abbiamo parlato con Rita Arrigo, ingegnere e innovatrice, voce che da anni lavora per riportare l’essere umano al centro del discorso tecnologico. Da pioniera della trasformazione digitale, Arrigo racconta il suo percorso come un susseguirsi di brillanti scoperte: dagli anni in cui, una delle poche donne nella sua facoltà, aiutava le segretarie a passare dalla macchina da scrivere al computer, fino all’apertura di un Internet café a St Kilda, il primo in assoluto in tutta l’Australia, quando Internet era un misterioso orizzonte da esplorare sorseggiando un caffè, in attesa che una pagina web si caricasse lentamente.
Oggi quello stesso spirito pionieristico la accompagna nel raccontare il passaggio verso l’era dell’intelligenza artificiale: “L’intelligenza artificiale, tradizionalmente, mirava proprio a rendere più umani i computer: farli parlare, vedere, capire… ed è lì che è nato il mio interesse per l’AI”, esordisce Arrigo.
La sua attenzione è rivolta alle tecnologie emergenti, da AlphaFold – che ha rivoluzionato la comprensione delle proteine e che promette di accelerare la scoperta di nuovi farmaci – ai modelli generativi che ampliano il modo in cui accediamo e produciamo conoscenza. Per Arrigo, la prossima ondata tecnologica avrà luogo nel mondo fisico, tra robotica e interfacce senza schermi, verso quel “computing olografico” immaginato ai tempi della ‘realtà aumentata’ di Microsoft.
Ma il suo entusiasmo si fa ancora più concreto, quando parla dei digital twin, copie digitali di oggetti, ambienti o persino organismi viventi, che permettono di prevedere guasti, simulare scenari e prevenire errori.
“Se gli ascensori non si bloccano più è per l’AI – ci spiega Arrigo–. Grazie alla manutenzione preventiva con dei modelli che possono dare indicazioni sui possibili guasti futuri e non solo”.
“C’è un’azienda australiana – prosegue l’ingegnere, ex dipendente di Microsoft –, Eyes of AI, che crea un gemello digitale della tua bocca e può prevedere carie o malattie gengivali prima che accadano”. Uno strumento, dunque, già utilizzato in Europa nelle fabbriche di auto elettriche progettate prima in ambiente virtuale e solo dopo nella realtà. La prospettiva futura, quasi fantascientifica, è perfino quella di un gemello digitale dell’intero corpo umano, un alter ego computazionale su cui testare farmaci ed esperimenti senza rischi.
Dietro l’entusiasmo, però, Arrigo non dimentica l’essenziale: “La tecnologia deve amplificare l’essere umano, non sostituirlo”.
Racconta anche di imprenditori che, agli albori della rivoluzione tecnologica, vedevano nella macchina il pretesto per licenziare il proprio personale. “Io rispondevo loro: non è questo lo scopo. È una questione etica. L’AI serve ad aumentare le capacità umane, non a eliminarle. E comunque, anche volendo non potrebbero farlo: l’AI è solo uno strumento”.
Il rischio maggiore, secondo Arrigo, non è l’AI in sé, ma la fiducia cieca. “L’AI – ci spiega – è ancora un bambino: impara, sbaglia, confonde. Ha bisogno del nostro pensiero critico”.
Affidarle i propri problemi personali, scambiarla per un amico o un confidente, significa dimenticare che dietro quella voce c’è un modello addestrato, non un essere umano. E mentre i social media ci hanno già mostrato gli effetti catastrofici di una società impreparata alla disinformazione, l’intelligenza artificiale rende ancora più semplice creare contenuti falsi, voci sintetiche o identità manipolate. “I governi stanno lavorando a etichette obbligatorie per i contenuti finti e, paradossalmente, questo potrebbe inaugurare una nuova rinascita di settori come il giornalismo, chiamato a verificare ciò che l’occhio umano non potrà più distinguere”.
Poi c’è la privacy, un capitale che abbiamo iniziato a erodere molto prima dell’AI, con gli smartphone e le app che tracciano ogni nostro gesto. “Condividere dati sensibili con modelli pubblici è rischioso: serve consapevolezza, formazione e un uso disciplinato degli strumenti”, incalza Arrigo.
Quando prova a immaginare il futuro, invita a non farsi ingannare dagli scenari cinematografici: non necessariamente avremo robot in forma umana. “Il mondo è costruito per noi, ma la tecnologia può incarnarsi in dispositivi molto diversi, come il piccolo robottino che ha rivoluzionato la pulizia domestica senza somigliare a un androide”.
L’avanzata dell’intelligenza artificiale mette in luce sfide che i governi dovranno affrontare con fermezza, ma Arrigo resta fiduciosa: la paura fa parte del cambiamento, e la curiosità è il suo miglior antidoto. “Parlare di AI – conclude –, comprenderla e padroneggiarla significa scegliere di restare protagonisti del futuro invece che spettatori spaesati”.