Angela, una giovane di San Leucio del Sannio, si sposò con Francesco per telefono: al suo fianco, nel Comune del paesino campano, il cognato di lui, Carmine. Più che un matrimonio, per Angela fu un atto di ribellione, di indipendenza dalle severe regole imposte dalla società di allora e da genitori rigidi che le impedirono di sposare il ragazzo che amava.
Quello che Angela non sapeva, quando due anni dopo si imbarcò sulla nave diretta in Australia, era che la vita che l’aspettava nel nuovo mondo sarebbe stata segnata dalla violenza – fisica e psicologica –, palesatasi fin dai primissimi momenti, già sul treno che portava la coppia ad Adelaide, la loro nuova casa. “Ho rovinato la vita mia con le mani mie”, ha detto Angela molti anni dopo. Difficilmente, nei racconti delle emigrate, si narra di violenza e abuso, non perché non siano mai esistiti ma perché rimangono un argomento tabù, da tenere tra le mura domestiche. Grazie alla testimonianza della figlia, Maria Fantasia, raccolta in un libro, viene resa nota una storia di sopravvivenza, di forza e resilienza (Angela era una “capa tosta”), doti necessarie per non soccombere ai maltrattamenti e per proteggere gli otto figli.
Il volume My Mother’s Story . . . Through My Eyes, pubblicato lo scorso anno e lanciato in South Australia e a Genova durante la conferenza ‘Diaspore Italiane’, è un’opportunità per dare ad Angela la voce che non hai mai avuto in vita. “[Si tratta della] mia prospettiva e interpretazione di eventi che mi hanno coinvolto e hanno avuto un impatto su di me, oltre che di storie condivise da mia madre, da sua sorella, da sua cognata e da altri paesani”, ci spiega Maria Fantasia. “È una storia sulle aspettative culturali che si avevano su mia madre in quanto donna della sua generazione [era nata nel 1937]. È una storia che si concentra sulla realtà di mia madre, sul matrimonio con un uomo che non amava, una relazione fatta di abuso, violenza e controllo, e sul silezio a cui era costretta”. Ad Angela non era permesso esprimere un’opinione, chiedere aiuto o fare nient’altro se non essere una “brava moglie”. In fin dei conti, non era quello il suo “dovere”? Non poteva guidare o andare in bicicletta – scrive Maria nel volume –, non poteva lavorare fuori casa e la sua visione del mondo era limitata dal ruolo subordinato impostole dall’esterno, dalla società e dalla religione.
Maria stessa non ne è uscita illesa e ha dovuto lottare (letteralmente) per poter ottenere un’istruzione che, secondo lei, era l’unica via di fuga da una situazione tossica fatta di paura, minacce e botte.
La scrittura del libro è avvenuta negli anni successivi alla morte di Angela nel 2014, un modo per Maria di scendere a patti con la scomparsa della madre, grazie anche al sostegno dei figli, di alcuni familiari e degli amici tra cui Maria Pallotta Chiarolli, fin da subito grande sostenitrice del libro. Maria ha fatto visita in Italia alla zia Giovanna, sorella di Angela, ha raccolto racconti e aneddoti che ha poi riversato nel volume che, sottolinea, è una celebrazione del “coraggio e della dignità con i quali mia madre ha vissuto la sua vita” a dispetto delle avversità che non sono mancate.
“Non voglio che mia madre venga definita dall’abuso. Non vorrebbe che si pensasse a lei come a una vittima. Era sempre positiva, non ha mai perso la fede in Dio, ha sempre trovato grande gioia nelle piccole cose come una tazza di caffè, una conversazione, la Messa della domenica, cucinare per la famiglia, ballare a una festa di compleanno”.
“Ho voluto raccontare la sua storia non perché sia unica ma perché troppe donne e bambini soffrono in silenzio e con vergogna, si nascondono. Avviene in Australia tutti i giorni, i numeri parlano chiaro e non dovrebbe succedere”, conclude Maria.
Maria Fantasia presenterà domani, venerdì 13 marzo, il suo libro al Co.As.It. durante l’evento gratuito “Ascolta! Listening to unheard stories. Italian Australian multi-generational women’s experiences and migration legacies”.
Il coraggio e la dignità di Angela
Quella di Angela Varricchio è una storia che all’apparenza potrebbe sembrare simile a quelle di tante altre donne che, come lei, negli anni Cinquanta, fecero un salto nel buio inimmaginabile oggi, affidando il loro futuro a uomini che avevano visto solo in una sgualcita fotografia in bianco e nero.