CARACAS - Si terrà oggi in Lapponia, nella città di Rovaniemi, il vertice tra il segretario di Stato Usa Mike Pompeo e il ministro degli Esteri Russo Sergey Lavrov, che dovrebbe abbassare le tensioni tra le due superpotenze, cresciute negli ultimi giorni a livelli preoccupanti a causa della crisi venezuelana. A preparare i colloqui è stata anche una lunga telefonata, di oltre un’ora, tra il presidente americano Donald Trump e il numero uno del Cremlino Vladimir Putin. I due si sono confrontati sabato in un dialogo definito “molto produttivo” dallo stesso Trump, che ha avuto al centro proprio la difficile questione venezuelana, oltre ad altri importanti dossier come quello coreano, per il quale il presidente americano avrebbe chiesto al leader russo di fare pressione su Pyonyang per la denuclearizzazione. Infine, secondo quanto riportato, i due avrebbero discusso anche della possibilità di coinvogere la Cina all’interno di un nuovo accordo multilaterale sul nucleare.
Ma è l’attenzione su Caracas ad aver tenuto soprattutto banco nelle relazioni tra Mosca e Washington. Dopo il fallito colpo di mano dell’inizio della settimana scorsa, Juan Guaidó ha nuovamente chiamato in piazza i propri sostenitori anche sabato, ma la risposta da parte della popolazione stavolta è stata esigua. Un brutto segno per l’autoproclamato presidente, perché, come scrive Claudia Fanti sul Manifesto, “tenere alta il più possibile la tensione per le strade, cercare lo scontro con le forze fedeli a Maduro per attribuire a queste ultime la responsabilità delle violenze e continuare a esercitare pressioni sulla Forza armata bolivariana (Fanb) per ottenere nuove defezioni”, è l’unica strada che Guaidó ha per non sparire. Quanto accaduto la scorsa settimana tuttavia ha messo molto a repentaglio la sua sfida al presidente Nicholas Maduro, che invece sembra essersi rafforzato, e la telefonata di Trump a Putin potrebbe essere un segnale che il presidente americano non è ancora stato convinto dai falchi della sua amministrazione a calcare la mano su Caracas.
Tra questi c’è il consigliere per la sicurezza John Bolton, che negli ultimi giorni ha confermato come quanto accaduto tra lunedì e martedì a Caracas era frutto di “un accordo dietro le quinte” e che gli “uomini chiave del regime avrebbero dovuto disertare”. Una diserzione che però non c’è stata, perché il ministro della Difesa Vladimir Padrino è rimasto fedele a Maduro. “Hanno cercato di comprarmi, come fossi un mercenario. - ha rivelato lo stesso Padrino - Ma hanno fallito. La Revolución non è in vendita”.
Secondo indiscrezioni pubblicate dal Wall Street Journal e confermate anche dal quotidiano spagnolo El Confidencial, i negoziati avevano portato a concordare un documento di circa 15 punti per preparare una transizione di potere il più pacifica possibile e che “prevedeva garanzie per i militari, una dignitosa uscita di scena per Maduro e la presidenza ad interim di Guaidó”. L’azione, pianificata da diverso tempo per il 2 maggio, è però fallita perché Guaidó si sarebbe mosso a sorpresa il 30 aprile, secondo alcuni per il timore di essere arrestato. Ora, le iniziative di dialogo messe in campo da Maduro e la resistenza della Russia potrebbero costringere gli Usa a desistere, abbandonando Guaidó al suo destino. Sabato tuttavia, lo stesso Bolton ha rilanciato e rivolgendosi alla popolazione venezuelana ha detto che “il momento della transizione è arrivato”.