A quella dolce felicità fatta di niente, quella terra lenta e lontana e quei giorni in cui negli occhi passavano speranza, sogno e carezza. È una melodia, quella di Signorinella pallida – scritta nel 1931 da Libero Bovio e musicata da Nicola Valente, interpretata nel tempo da decine di cantanti italiani – a risuonare ancora oggi nella memoria di chi ha vissuto una separazione tagliente dalla propria terra, un distacco inevitabile.
È da quest’antico brano che Angelo Pricolo, farmacista di professione e affermato regista di Melbourne, ha delineato i tratti del suo ultimo documentario, Signorinella: Little Miss, un’opera che è nostalgia e resilienza, e che vuole rendere giustizia alle centinaia di migliaia di donne che, silenziosamente e con prodezza, hanno costruito una parte essenziale della storia australiana.
Dopo il successo inatteso del film Lygon St – Si Parla Italiano, ormai fenomeno di culto, Pricolo e i suoi compagni di viaggio Jason McFadyen e Shannon Swan hanno sentito il bisogno di andare oltre. Se nel 2013, il racconto era stato circoscritto a una strada e soprattutto a voci maschili, oggi l’urgenza è di ridare spazio alle donne e ai loro preziosi ricordi migratori.
All’indomani della Seconda guerra mondiale, famiglie intere di italiani lasciarono il proprio Paese alla ricerca di una vita migliore nel quinto continente.
Con l’ombra del conflitto, molti uomini furono internati e le loro mogli si ritrovarono a gestire da sole bambini, casa e campi.
Non crollarono, anzi si rimboccarono le maniche per sopravvivere. Non solo tennero in piedi ciò che era stato costruito dai loro mariti, ma lo trasformarono e lo resero qualcosa di più grande.

Da sinistra: Jason McFadyen, Angelo Pricolo e Shannon Swan che hanno diretto e prodotto il documentario Signorinella: Little Miss presentato al Melbourne International Film Festival
“Le donne fecero moltissimo, e io sono figlio di una di loro – ha raccontato Angelo Pricolo durante la nostra intervista –. Mi colpisce che affrontarono le stesse difficoltà degli uomini e molte di più. Erano donne negli anni Trenta e Quaranta e c’era già una forte barriera sociale dettata dalle concezioni del tempo, ma poi c’era la profonda difficoltà della lingua e l’ostacolo dei padri”.
Mary Marino, giunta in Australia nel 1934 e intervistata per il documentario all’età di 99 anni – lo scorso 11 agosto ha compiuto la straordinaria età di 100 anni – rientra tra le testimoni privilegiate di questa storia. Suo padre e i suoi fratelli avevano creato una piantagione di canna da zucchero in Queensland e fu lei, insieme ad altre donne, a doversi occupare del terreno in assenza degli uomini. “C’era il caldo, c’erano le mosche, non c’era acqua, eppure dovevamo sopravvivere”, racconta in Signorinella. E non solo sopravvissero, prosperarono.
“Marino, in particolare, è una donna di una coerenza unica – ha aggiunto Pricolo –. Quando ci siamo sentiti telefonicamente per la prima volta, mi ha sorpreso la sua incredibile lucidità; sembrava di dialogare con un coetaneo. E a fine conversazione, mi ha anche immediatemente inviato delle foto d’archivio della sua famiglia via messaggio. È davvero fenomenale”.
Il racconto di Signorinella non segue una linea cronologica, piuttosto si muove per temi, attraversando mondi e trasformazioni. C’è anzitutto il cibo, primo linguaggio di identità e condivisione.

Una foto degli anni ‘70 dalla cucina dell’Ibleo Social Club a Northcote e le donne del comitato che preparano la cena per l’appuntamento del ballo liscio al sodalizio
All’inizio, semplici pasti preparati per altri connazionali appena arrivati, ma presto trattorie e ristoranti che diventarono istituzioni. L’Italia prese posto sulle tavole australiane e non ci furono più barattoli di spaghetti, ma pasta preparata con sapienza gastronomica.
Poi c’è la moda, altro terreno dove le donne italiane lasciarono un segno indelebile: da sarte invisibili nei retrobottega a stiliste capaci di dominare le passerelle. È la storia, tra le altre, di Terry McClain Paliani, ‘Miss Italia 1956’, incredibile donna con una vita da romanzo che portò lo stile italiano in Australia di fronte a un pubblico che ancora vestiva con abiti British e cappellini colorati. O ancora, Carla Zampatti, leggenda della moda e tra le stiliste australiane più prolifiche e sagaci.
Poi, c’è la politica, ci sono i media e le preziose immagini d’archivio che diventano filo emotivo che attraversa l’intero film.
Alcune vecchie fotografie, animate con l’intelligenza artificiale, restituiscono vita a volti scomparsi da decenni. “All’inizio c’era timore: poteva sembrare scioccante vedere un padre o un nonno tornare a muoversi dopo tanti anni – ha raccontato Pricolo –. Ma con il consenso delle famiglie, quelle immagini sono diventate un patrimonio emozionante, un ponte tra passato e presente”.

Giovanna Antoci in una fabbrica tessile di Brunswick negli anni ‘70
Perché non si tratta solo di memoria, ma di restituire dignità a migliaia di infaticabili migranti. Per Angelo Pricolo, poi, il documentario rappresenta anche parte della sua storia personale. Nato in Australia da genitori campani, ricorda di aver vissuto due vite parallele: “In casa era come trovarsi ancora in Italia, fuori però c’era l’Australia – ha ricordato con commozione –. Come dice una donna intervistata nel film, anche a me non piaceva la mia pelle, non volevo distinguermi. Volevo solo confondermi tra gli altri. È la tipica storia di ogni immigrato”.
Con il tempo, però, l’orgoglio ha vinto sul senso di estraneità. Ancora oggi, sente di “essere italiano”, tanto da portare i suoi due figli a Napoli per un viaggio di ben quattro mesi, affinché potessero imparare a sentirsi a loro agio con la cultura e la lingua del Belpaese. “Nulla mi emoziona di più – ha confessato – che sentirli mischiare l’inglese al napoletano, quando dicono, ‘N’copp (sopra) the table’! Il dialetto è una ricchezza”.
Dietro il suo ultimo documentario, c’è anche il percorso di un uomo che ha scelto il cinema come forma di testimonianza. Vent’anni fa ormai, ha girato il suo primo lavoro cinematografico, Fighting the Dragon with Luck, un documentario sulla dipendenza da eroina che ha incontrato grande successo di pubblico. Da quel film è nato un percorso creativo che non l’ha più lasciato.
Signorinella: Little Miss è stato accolto immediatamente dal Melbourne International Film Festival, segno della sua forza universale. Le prossime proiezioni sono previste per mercoledì 20 agosto al Cinema Nova a Carlton e sabato 23 agosto a The Capitol.
Il docufilm sarà poi distribuito su scala nazionale dal 30 ottobre, anche nell’ambito del ST. ALi Italian Film Festival by Palace Cinemas.
“Mia madre dice nel film, ‘Non potevamo parlare con la lingua, allora parlavamo con le mani!’. È la sintesi perfetta di ciò che raccontiamo – ha detto Pricolo –. Voglio poi ricordare il North Balwyn Senior Citizens Club che ogni lunedì si trasforma in un locale italiano. È frequentato principalmente da donne, ma anche da qualche uomo, e ci sono sempre musica e balli. È stato un luogo d’incontro così importante per mia madre da quando abbiamo perso papà e vederli tutti insieme per scambiarsi storie, è stata l’ispirazione per aprire e chiudere il film con i loro caldi movimenti sulla pista da ballo. Si muovono forse più lentamente, ma la passione è sempre la stessa”.
Quelle donne – che cucivano abiti, tagliavano canne da zucchero, accoglievano immigrati nelle pensioni – non costruirono solo famiglie e comunità: tessero la trama stessa del multiculturalismo australiano.
Molte erano spose per procura, altre ragazzine costrette a partire con i genitori, altre ancora imprenditrici di se stesse. In tutte c’era la capacità di affrontare il nuovo con dignità e creatività.
E oggi i loro racconti rivivono grazie a un film che le illumina, consegnandole finalmente alla memoria collettiva. “Quasi come un parto”, si dimentica il dolore e si guarda solo a ciò che si è creato.