Un monumento in metallo con la forma di una vela piumata si specchia nell’acqua di un minuscolo laghetto alpino a quota 1.300 metri e rimanda i bagliori tra il verde della montagna e l’azzurro del cielo. È in ricordo dell’atterraggio con paracadute nell’agosto del 1944 nei pressi della Grande pozza dei Sette Termini, tra la Val di Piana e la Val Cavallina, nel Bergamasco, del generale Raffaele Cadorna (1889-1973) per assumere il comando e il coordinamento del Corpo volontari della libertà, braccio armato del Comitato di liberazione nazionale e della resistenza al nazifascismo.
Troppo anziano
Cadorna aveva 55 anni, un’età da pensione, proveniva dalla cavalleria e dalle truppe corazzate, ma aveva accettato quella rischiosa missione militare e politica nello stesso tempo mettendosi alla prova con un lancio da un aereo. Per la guerra di liberazione aveva assunto il nome di battaglia di Valenti. Nel suo sangue scorreva quello del padre Luigi, il discusso generalissimo capo di Stato maggiore della Prima guerra mondiale destituito dopo Caporetto, e del nonno Raffaele, comandante generale delle truppe italiane che il 20 settembre 1870 erano entrate a Roma ponendo fine al potere temporale dei papi. Durante il conflitto del 1940-1943 il generale Raffaele Cadorna aveva partecipato a scontri di leggera entità in Francia e poi aveva comandato la scuola di cavalleria di Pinerolo. L’8 settembre era al comando della divisione corazzata Ariete II che aveva partecipato agli scontri con la Wehrmacht e i paracadutisti tedeschi per la difesa di Roma.
I trascorsi in battaglia
Per la Resistenza aveva guadagnato rispetto e considerazione in quelle convulse ore che porteranno al tracollo dello Stato con la fuga di Pescara il 9 settembre 1943 e per i suoi trascorsi lontano dall’adesione al fascismo, ma per i suoi colleghi generali la sua azione a Roma era stata invece poco decisa, e in particolare il generale Gioacchino Solinas gli rimprovererà sempre di non aver appoggiato adeguatamente con le truppe corazzate l’azione dei suoi granatieri di Sardegna che si erano battuti con valore dal primo all’ultimo minuto, perché Cadorna pretendeva un ordine scritto del generale Giacomo Carboni per riversare l’intera divisione sul fronte di battaglia. A luglio 1944, liberata la Capitale dagli Alleati e ridisegnato un quadro istituzionale e militare non approssimativo, e in piena guerra civile, su di lui era caduta la scelta del governo d’unità nazionale del Regno del Sud retto da Ivanoe Bonomi in sintonia con il comando alleato in Italia. Lo spontaneismo partigiano andava in qualche modo ricondotto sui binari di una lotta organizzata di matrice militare, per un apporto concreto alle due armate angloamericane impegnate nella risalita della Penisola.
E così l’anziano Cadorna, con un estemporaneo addestramento, era stato paracadutato in montagna nei pressi del Comune di Ranzanico, nella Repubblica sociale di Benito Mussolini, dove era stato prelevato dai partigiani.
La missione
È un militare da ogni punto di vista, mentalmente poco elastico e poco diplomatico, ma ha un incarico e intende portarlo a termine. Lui è lì per assumere il comando ma né Ferruccio Parri (Maurizio) del Partito d’azione né tanto meno Luigi Longo (Italo, oppure comandante Gallo) del Partito Comunista intendono consegnargli i poteri che lui reclama in nome del Regno del Sud e degli Alleati. I comandanti delle Brigate Giustizia e Libertà e delle Brigate Garibaldi pretendono e ottengono di affiancarlo come vice al vertice del CLN, dando nei fatti vita a un triumvirato. Longo si ritiene commissario politico e le formazioni comuniste continueranno a considerarlo tale, e così Parri. Il loro primo incontro avviene il 26 agosto, ma la questione della subordinazione gerarchica si risolverà soltanto a novembre e verrà ufficializzata a Roma a dicembre con la pressione e l’intercessione dei comandi alleati. Il compito di Cadorna è di fornire informazioni di carattere generale e strategico, coordinando territorialmente le azioni delle brigate e facendole rifornire di armi, munizioni, viveri e uniformi. Il comando è fissato a Milano, e il CVL ricomprenderà in seguito anche le brigate di Enrico Mattei (Bianche, democristiane), di Mario Argenton (Azzurri e Verdi, militari e autonome) e Giovan Battista Stucchi (Matteotti, socialiste); ne rimarrà fuori solo l’abruzzese Brigata Maiella di Ettore e Domenico Troilo, la prima con bandiera di combattimento, perché apartitica e inquadrata nel II Corpo d’armata polacco del generale Anders.
La leadership
Il compito di Cadorna è più arduo del previsto, e non solo per le aperte resistenze dei partiti. Il 13 novembre 1944 il comandante in capo alleato, generale Harold Alexander, con un proclama alle forze partigiane, chiede infatti di cessare tutte le operazioni durante il periodo invernale: un’assurdità logica, militare e politica. Il 2 dicembre il CVL fornisce alle bande un’interpretazione estensiva che nei fatti disapplicava il proclama Alexander, mentre i nazifascisti riacquistavano vigore nella guerra antipartigiana. Parri viene casualmente arrestato a Milano dalla Gestapo il 2 gennaio 1945 e sarà rilasciato dopo interrogatori e torture solo come gesto di buona volontà da parte del generale SS Karl Wolff che aveva intavolato trattative segrete con Allen Dulles per far finire la guerra in Italia e guadagnarne l’immunità per i crimini commessi (Operazione Sunrise). Cadorna, che vedeva la sua autorità di comandante continuamente erosa, per protesta aveva rassegnato le dimissioni a febbraio e a fine mese se le era viste respingere, per poi partecipare a una missione in Svizzera ed elaborare l’insurrezione generale parallelamente all’angloamericano della Linea Gotica, con l’ormai avvenuta unificazione delle brigate partigiane come corpi militari sotto comando del CVL.
La Liberazione
A Milano, nella sfilata di aprile del 1945, Cadorna, Parri e Longo avrebbero marciato insieme. L’Italia avrebbe presto imboccato la nuova strada della libertà e della democrazia: per Longo non ci sarebbe stata alcuna scorciatoia con la rivoluzione, ma solo la carriera politica nel PCI. L’anziano Cadorna che non aveva avuto nessuna incertezza a farsi paracadutare vicino alla Grande pozza dei Sette Termini, il 4 luglio 1945 sarebbe stato nominato capo di Stato maggiore generale dell’Esercito: l’ultimo dell’esperienza monarchica e il primo della Repubblica.