Ultimissime battute parlamentari prima della pausa pre-budget all’insegna del compromesso: perlomeno di tentativi di compromesso, con il primo ministro Anthony Albanese costretto ad intervenire direttamente per ammorbidire la linea dura del collega Chris Bowen sul programma dei tagli alle emissioni, specie per ciò che riguarda gli standard di efficienza dei consumi dei veicoli, e irrobustire la linea tutt’altro che soddisfacente riguardante l’immigrazione. Aperto invece un nuovo fronte di dialogo, procedendo con grande difficoltà sul campo minato delle riforme sulle discriminazioni e le libertà di culto e tentativi, sicuramente non facili, di mantenere le promesse di riportare in qualche modo sotto controllo i costi del programma NDIS che complica non poco, anno dopo anno, i conti di bilancio.

Il ministro dell’Energia e dei Cambiamenti climatici [Bowen], costretto a mordere almeno un po’ il freno nella sua ambiziosa corsa ambientale, riducendo le aspettative per ciò che riguarda la transizione verso i veicoli elettrici ed ibridi, frenando su nuove norme (per l’Australia) degli standard energetici per le nuove vetture, esattamente come ha fatto l’amministrazione Biden negli Stati Uniti. La minirivoluzione, che era stata annunciata nel tentativo di mettersi al passo con l’Europa sull’efficienza energetica dei veicoli, era stata osteggiata da molti consumatori, specialmente nelle aree regionali e rurali (dato che potrebbe avere ripercussioni sui prezzi di alcuni tipi di vetture più pesanti come i 4WD e i cosiddetti Utility Vehicle), che hanno trovato nella Coalizione un importante alleato politico. Allarmi e paure hanno convinto Albanese ad intervenire direttamente in merito per evitare pesanti contraccolpi elettorali. Maggiore attenzione chiesta apertamente a Bowen anche sulle consultazioni riguardanti i nuovi parchi eolici offshore, specie al largo delle coste del New South Wales e del Queensland, con aperte lamentele al riguardo espresse anche dalla collega Catherine King, responsabile dei Trasporti e dello Sviluppo regionale. 

 Rimedi d’emergenza, non senza immediate polemiche, per lo straordinario giro di vite annunciato dal ministro dell’Immigrazione Andrew Giles in un settore che, a causa dell’intervento dell’Alta Corte su alcune evidenti imperfezioni legislative, è diventato un’autentica polveriera per i laburisti. Albanese costretto quindi, ancora una volta, a interessarsi di persona per cercare di riportare un minimo di ordine e credibilità in un campo in cui la Coalizione sta trovando ampi spazi in cui inserirsi usando allarmismi, che quando si comincia a parlare di elezioni funzionano sempre, su sicurezza, confini e interessi nazionali. Giles, ormai da mesi sotto tiro per i 149 migranti (alcuni già condannati per gravi reati) rimessi in libertà per anomalie delle leggi vigenti sulla detenzione di irregolari, ha presentato in fretta e furia una serie di misure straordinarie che prevedono, tra le altre cose, detenzioni preventive ed espulsioni, auto-assegnandosi extra poteri decisionali al riguardo. Tutta una serie di provvedimenti che, in condizioni normali, neanche Peter Dutton si sarebbe mai sognato di annunciare tanto che ieri, unendosi a verdi e indipendenti proprio la Coalizione ha fatto bloccare, nel Senato, l’iniziativa. Rinvio all’ennesima Commissione di revisione e dibattito aperto sulla presunta incpacità del governo di gestire un tema altamente controverso e spigoloso, pieno di insidie per i laburisti.   

 Ieri, mercoledì di fuoco quindi in Parlamento, con provvedimenti in discussione che, in alcuni casi, sono sembrati affrettati e sottoposti al giudizio urgente dell’Aula solo per cercare di sgombrare il campo in vista della sessione parlamentare di maggio, quando sarà il budget a tenere banco. 

Anche NDIS (con un piano di riforme da sviluppare in varie fasi che sta incontrando più di qualche perplessità a livello statale) e libertà di religione, con le loro mille angolature, nella mischia di un dibattito accelerato (in corso mentre andiamo in stampa) che ha messo in evidenza preoccupazioni, insicurezze e, di fatto, l’inizio dell’anno elettorale, quando ogni mossa e decisione vengono ingigantiti, trovando spazi mediatici molto più ampi del normale.

Governo quindi intenzionato a riprendere con decisione il filo del discorso politico e opposizione che frena per non lasciarsi sfuggire future opportunità politiche; verdi, invece, che come sempre lanciano accuse di complotti, ingiustizie e raggiri e promettono esami supplementari o minacciano di far saltare il banco. Confusione estrema e fretta legata ai tempi di un mandato che va decisamente stretto e che Albanese e Dutton vorrebbero davvero allungare, specie ora che sanno, via sondaggio Newspoll, che il 51 per cento degli australiani sarebbero favorevoli all’idea dei quattro anni. Numeri però non ancora sufficienti per provarci, specie dopo il disappunto della Voce, ma allo stesso tempo un valore incoraggiante per non abbandonare il dibattito, anche se non è l’ideale nemmeno il momento politico che sta vivendo il Paese, con la possibilità - secondo un altro sondaggio - che, anche a livello nazionale, possa succedere quello che è successo sabato in Tasmania: l’ipotesi che il prossimo anno si arrivi a un governo di minoranza anche in campo federale è, infatti, sostenuta, secondo il rilevamento demoscopico, dalla debolezza dei consensi diretti dei maggiori partiti, che offre ampie speranze di successo a indipendenti e formazioni politiche minori in una frammentazione sempre più evidente del quadro politico. 

 I verdi si sono ormai ritagliati un chiaro spazio sul palcoscenico nazionale e, facendo perno sull’indubbio problema dei cambiamenti climatici, fanno proposte radicali che, in termini pratici, probabilmente possono offrire solo coloro che non sono chiamati ad attuarle. Proposte che, però, continuano ad attirare l’attenzione di una fascia di elettori, generalmente più giovani, alla ricerca di risposte più nette ed immediate di quello che la realtà permette di dare.

Il ‘fenomeno Teal’ è destinato a resistere (un problema in più per la Coalizione) anche perché le ‘elette’ sull’onda anti-Morrison del 2022, pur non avendo lasciato ancora alcun particolare segno a Canberra, non hanno nemmeno sfigurato al punto che nella maggior parte dei casi il bis è piuttosto probabile. 

L’insoddisfazione diffusa nei confronti dei politici, in qualche caso un pizzico di rabbia, la voglia di inviare qualche messaggio di protesta, il sempre più ristretto senso di appartenenza politica, l’indebolimento di alcuni valori tradizionali, l’opzione delle risposte facili che si vogliono sentire, i candidati con un certo seguito personale in determinate aree del Paese, il ruolo dei social media, alcune rivendicazioni spesso altamente divisive e il puzzle è pronto. Molti più tasselli di una volta, di tutti i colori e per tutti i gusti, in un quadro politico molto più difficile da completare: in passato l’idea dei quattro anni di mandato sembrava abbastanza logica e apprezzabile, oggi, vista la qualità di alcuni giocatori in campo e le opportunità che si presentano per molti altri pretendenti, i tre anni sono probabilmente una migliore polizza assicurativa per poter correggere, se necessario, possibili errori di valutazione senza dover aspettare troppo, evitando eccessivi danni.