“Quando una bambina nasce, nasce per essere un mucchio di paglia da calpestare”: era questo che la madre di Angelina Mastrippolito le ripeteva da piccola. Una frase tanto potente quanto rivelatrice, che oggi campeggia simbolicamente sulla copertina del suo libro Le Seconde - Inheriting the Unspoken, A Second-Generation Immigrant Story.
Non è solo una storia familiare quella che l’autrice racconta: è un percorso di scavo nella memoria, una ricostruzione intergenerazionale che intreccia il privato con la storia, le tensioni intime con i drammi collettivi del Novecento.
Il libro di Mastrippolito è un viaggio intimo e storico attraverso tre generazioni della sua famiglia, intrecciando memorie personali con le ferite collettive della guerra, della migrazione e del patriarcato.
Attraverso lettere ritrovate, fotografie sbiadite e testimonianze familiari, l’autrice ricostruisce le vite del padre, del nonno e, al tempo stesso, dà voce alla madre. In un racconto minuziosamente curato anche di particolari storici, non solo narra la storia della propria famiglia ma affronta anche l’impatto silenzioso del trauma intergenerazionale e l’esperienza dell’autrice come donna cresciuta tra due culture opposte: da un lato l’eredità patriarcale della famiglia italiana, dall’altro l’emergere del femminismo nell’Australia degli anni ’70 e ’80. È una storia di resistenza femminile, memoria e riconciliazione, scritta per rompere il silenzio e restituire dignità alle vite spesso taciute degli emigrati italiani.
Mastrippolito è nata in Australia da genitori italiani. Suo padre, partito dall’Italia dopo 21 anni di separazione dal padre emigrato in Australia nel 1927, portava con sé le ferite della guerra e dell’abbandono. “È stato fatto prigioniero a Creta e rinchiuso dai tedeschi – racconta –, mentre mio nonno, in Australia, veniva internato nel campo di Loveday Internment Camp, in South Australia, perché fascista”.
I due uomini si ritrovarono solo dopo più di due decenni, completamente estranei l’uno all’altro. Il loro rapporto fu teso, segnato da incomprensioni, litigi e una guerra mai davvero finita.
Sua madre, invece, era cresciuta lungo la Linea Gustav, in Abruzzo, durante l’occupazione nazista. “Mia madre ha vissuto la guerra sulla pelle – dice – e non rivide la sua famiglia per vent’anni, dopo l’emigrazione in Australia”.
Un dolore sordo, quello di sua madre, che si è trasformato in ansia cronica e silenzio, un silenzio che ha fatto da sfondo all’infanzia di Angelina.
La scrittura del libro è nata quasi per necessità, come un modo per colmare i vuoti affettivi lasciati dalla morte dei genitori, ma anche per dare un senso alla confusione di una vita vissuta tra due mondi. “Per molto tempo ho cercato di capire cosa fosse successo davvero nella mia famiglia. Avevo dei frammenti, dei racconti, ma non una visione d’insieme – ricorda –, è stato solo dopo aver trovato lettere, fotografie e scritti personali, tra cui un documento manoscritto di mio padre sulla sua esperienza bellica, che la storia ha iniziato a prendere forma”.
Il libro si è trasformato, nel tempo, in qualcosa di più grande: un’indagine sull’eredità del fascismo, sulla costruzione della femminilità, sull’impatto della guerra e della migrazione. Ma anche una riflessione sulla difficoltà di crescere tra due culture opposte: quella patriarcale e silenziosa della famiglia e quella australiana, dove il femminismo prendeva piede.
“Quando decisi di non diventare insegnante nella mia città e accettai un lavoro a Brisbane, mio padre smise di parlarmi per sei mesi – racconta –. Ogni volta che prendevo una decisione autonoma, era come se stessi tradendo la sua visione del mondo”.
Eppure Mastrippolito ha proseguito: si è laureata, ha lavorato nel settore attuariale, un mondo dominato dagli uomini e ha costruito una carriera solida, anche a costo di adattarsi, di camuffarsi: “Negli anni Ottanta ero l’unica italiana nella stanza. Dovevo diventare qualcun altro per essere accettata”.
Ma nonostante tutto, racconta con orgoglio le donne della sua famiglia: “Erano tutte forti. Mia nonna materna ha cresciuto da sola i figli, mia nonna paterna si è rifiutata di emigrare, una cosa impensabile per una donna a quei tempi. E mia madre, sotto la superficie, era più femminista di quanto volesse far credere”.
È da loro che Angelina ha ereditato la tenacia e il coraggio di raccontare. Il messaggio che vuole lasciare ai lettori è semplice ma profondo: rompere il silenzio.
“Voglio che le persone parlino. Che si interroghino sulle storie nascoste delle proprie famiglie. Che smettano di fare ‘bella figura’ a tutti i costi e guardino in faccia le ferite del passato”.
Il libro non è solo un atto d’amore verso i genitori, ma anche un gesto politico, culturale e terapeutico.
E in un momento storico in cui il dibattito sull’identità, sull’eredità coloniale, sul trauma e sulle migrazioni si fa sempre più centrale, il racconto di Angelina Mastrippolito s’inserisce con forza e delicatezza, ricordandoci che le storie familiari sono spesso le più universali. Basta avere il coraggio di ascoltarle. E di raccontarle.