SYDNEY - La fonderia, di proprietà di Rio Tinto, sta affrontando gravi difficoltà a causa dell’aumento vertiginoso dei costi dell’energia e della scarsa disponibilità di fonti rinnovabili affidabili.
Tomago fa uso di circa il 10% dell’energia dell’intero stato e produce il 37% dell’alluminio primario dell’Australia. La sua eventuale chiusura comporterebbe la perdita di oltre 1.000 posti di lavoro diretti e altri 5mila collegati.
Il premier del NSW, Chris Minns, ha definito Tomago “un grande datore di lavoro nello Stato e una parte dinamica dell’industria dell’Hunter”. Minns ha aggiunto che “sono in corso discussioni commerciali con i proprietari per valutare un intervento efficace”.
I dirigenti di Tomago avrebbero chiesto assistenza ai governi statale e federale, in un momento in cui i contratti per le forniture di energia elettrica oltre il 2028 sono ritenuti insostenibili. L’amministratore delegato di Rio Tinto, Jakob Stausholm, aveva espresso allarme sui costi dell’energia già all’inizio dell’anno.
Minns ha riconosciuto che l’industria manifatturiera australiana, in particolare quella che produce alluminio e acciaio, sta affrontando sfide notevoli, tra cui anche la decisione dell’Amministrazione Trump di imporre dazi fino al 50% su acciaio e alluminio esteri.
Nel frattempo, il governo Albanese punta a rendere l’Australia una “superpotenza delle energie rinnovabili” entro il 2030. Tra le misure previste, vi sono crediti d’imposta per i principali produttori di alluminio, compreso Tomago, e un fondo da 2 miliardi di dollari per sostenere la transizione energetica.
Secondo Zoe Hilton del Centre for Independent Studies, le attuali politiche energetiche stanno invece penalizzando il settore: “Con prezzi dell’energia in costante crescita, non ha più senso economico gestire una fonderia in Australia”.