Ci sono film che connotano epoche, imponendo espressioni e mode che restano nella società, tramandate di generazione in generazione. È il caso di una pellicola uscita esattamente cinquant’anni fa: “Amici miei”, film record d’incassi del 1976 con 7,5 miliardi di lire. Se di “Fantozzi”, uscito il 27 marzo 1975, si è appena festeggiato il cinquantenario, adesso si avviano i preparativi per la festa di mezzo secolo di “Amici miei”, uscito nelle sale italiane il 24 ottobre 1975.
La fortuna di quest’ultima pellicola, diretta da Mario Monicelli, è legata anche al fatto che sia una commedia moderna al punto che appare ancora oggi fresca e divertente e, sotto molti aspetti, anche attuale. Una pellicola che ha segnato il costume italiano al punto che espressioni come “supercazzola” o “zingarata” siano ormai patrimonio comune di giovani e vecchi (oltre a essere state inserite ufficialmente nel vocabolario Treccani). Il suo segreto, forse, sta nell’essere un piccolo manuale per rendere la vita meno amara. “Amici miei” è uno dei più profondi film sul valore dell’amicizia, che appare come l’unico sentimento in grado di contrastare noia e solitudine.
I protagonisti sono cinque amici: Philippe Noiret interpreta il giornalista Giorgio Perozzi, che cerca di sfuggire la disapprovazione per la sua poca serietà e per le sue avventure extraconiugali da parte dei familiari; Gastone Moschin è l’architetto Rambaldo Melandri, unico tra i protagonisti a non essere mai stato sposato, un architetto impiegato al comune alla perenne ricerca di una donna, che per amore sarebbe anche disposto ad abbandonare i suoi amici, salvo ravvedersi all’ultimo momento; Ugo Tognazzi veste i panni del conte Raffaello Mascetti (in origine ruolo destinato a Marcello Mastroianni e poi a Raimondo Vianello, che rifiutarono, mentre Tognazzi doveva fare quello del giornalista Perozzi), nobile decaduto, costretto a vivere in assoluta povertà e a essere mantenuto dagli amici, che per confondere e prendere in giro le persone con cui parla fa spesso uso di giochi di parole senza senso; Duilio Del Prete interpreta Guido Necchi, che gestisce, con la moglie Carmen, un bar-ristorante con sala da biliardo, luogo d’incontro del gruppo di amici; Adolfo Celi è il professor Sassaroli, brillante e famoso medico direttore di una clinica in collina a Pescia, annoiato dalla professione, che è diventato in breve tempo uno dei pilastri del gruppo. Questi cinque personaggi si lanciano in scorribande infantili e goliardiche nella Firenze degli anni ‘70. Regna la messa in scena del lato puerile dell’uomo, ma il film è permeato anche dalla consapevolezza che prima o poi tutto finisce.
L’amarezza resta attaccata a tutto il film e non è separabile da leggerezza e battute ironiche. Epica la scena dei cinque protagonisti che vanno in stazione a tirare schiaffi ai passeggeri di un treno in partenza per tirare su il morale all’architetto Melandri, scottato da una vicenda amorosa (scena successivamente ripresa anche da “Fantozzi alla riscossa”). E arriva l’ennesimo tributo all’amicizia, con Melandri che, scappando assieme agli altri, dice: “Ragazzi, come si sta bene tra noi, tra uomini! Ma perché non siamo nati tutti finocchi?”.
Dietro le quinte c’è un aneddoto fenomenale: pare che le persone sul treno sapessero solo che dovevano affacciarsi dal finestrino e, mentre guardavano ignare dall’altro lato, Monicelli incitava gli attori a schiaffeggiare con forza le ignare comparse, il tutto in perfetto stile “Amici miei”. Moschin ha poi raccontato che “il gruppo delle comparse non sapeva minimamente cosa l’aspettava”. “Dovevano fare i passeggeri e Monicelli disse loro di sporgersi dai finestrini del treno. Fine. Quando iniziammo a schiaffeggiarli, ed erano schiaffoni veri, reagivano come avrebbero reagito nella vita reale. Finì che, portata a casa la scena, quando scesero dal treno volevano menare tutta la produzione, regista compreso”.
Ha fatto scuola anche una definizione tracciata dalla voce narrante del Perozzi: “Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione”. A dirigere “Amici miei” avrebbe dovuto essere il ligure Pietro Germi, che però morì pochi mesi prima dell’inizio delle riprese. Secondo alcuni il titolo del film è associato proprio a una frase che disse Germi in punto di morte: “Amici miei, ci vedremo; io me ne vado.”
Il film è uscito nelle sale italiane il 24 ottobre 1975 e la sua visione era stata vietata ai minori di 14 anni. Fin da subito ebbe un grande successo, incassando al botteghino oltre 7,5 miliardi di lire, record della stagione 1975-76. Seguirono due successivi capitoli: nel 1982 “Amici miei-Atto II” (diretto ancora da Monicelli) e nel 1985 “Amici miei-Atto III” (di Nanni Loy). Nel 2011 è uscito un antefatto: “Amici miei-Come tutto ebbe inizio”, diretto da Neri Parenti.