Nonostante James Bond abbia cambiato volto ogni dieci anni, per i fan della saga non cambierà mai nulla. Il volto della spia con la vita cinematografica più longeva che si sia mai vista sul grande schermo apparterrà sempre a lui, icona di fascino, eleganza e costante autoironia. A lui, che all’età di 90 anni ci ha lasciato, spegnendosi alle Bahamas, nel sonno, dopo una lunga malattia.

James Bond. C’è poco da dire, ma questo dignitoso nome rammenta un altrettanto dignitoso viso d’attore, quello di Sean Connery. Per lui vestire lo smoking, guidare Aston Martin e fumare di quando in quando nel ruolo di questo personaggio, ha significato solo una cosa: entrare nel Paradiso di quegli attori che diventano una leggenda. Per questo motivo e solo per questo motivo Connery rimarrà un mito.

Ma, a dirla tutta e a essere sinceri, ha dato prova di poter affrontare anche ruoli diversi dalla spia più gettonata del mondo, costruendo una carriera immacolata, come la sua vita, che raramente è andata sopra le righe e si è sempre mantenuta sobria. Un’esistenza fatta di golf e di quel buon spirito domestico scozzese. La Scozia, la sua patria, ciò che più ha fomentato le sue energie. A lungo Sir Connery si è battuto per la libertà e per l’indipendenza della sua regione, devolvendo i suoi guadagni a opere di beneficenza.

Figlio di un camionista e di una cameriera, fratello dell’attore Neil, fin da piccolo si sente attratto dal mondo dello spettacolo e prende lezioni di danza classica dall’età di 11 anni. Abbandonati poi gli studi obbligatori all’età di 13 anni, si arruola in Marina, da cui però viene congedato per un’ulcera. Tornato a terra cerca di sopravvivere come può: da verniciatore di bare a muratore, da bagnino a comparsa teatrale, da guardia del corpo a fattorino che consegna il latte, fino a modello che posa nudo per l’Accademia d’Arte di Edimburgo. Poi, nel 1953, partecipa al concorso di Mister Universo arrivando terzo.

La competizione lo mette in luce ed Herbert Wilcox sceglie immediatamente quel corpo nerboruto per inserirlo nel cast de “Le armi del re” (1954). In seguito, dopo una manciata di ruoli televisivi, qualche anno più tardi, lo si ritrova nel film di Terence Young “Il bandito dell’Epiro” (1957). C’è qualcosa di incredibilmente bello e rassicurante in questo giovane scozzese e John Guillermin sembra accorgersene immediatamente quando lo scrittura per interpretare il film d’avventura “Il terrore corre sul fiume” (1959).

Il 1962 è senza dubbio un anno che gli porta molta fortuna. Dopo essere entrato nel nutrito cast di star del film bellico “Il giorno più lungo”, si sposa con l’attrice Diane Cilento, dalla quale avrà il suo unico figlio, l’attore Jason che lavorerà spesso con il padre. Ma non è l’unica felicità per Connery, che vince il ruolo della spia James Bond, alias agente 007, battendo una concorrenza agguerritissima, tra cui Roger Moore, che verrà ripescato in seguito.

Il ruolo della spia più nota del mondo, con licenza di uccidere, di sciupare le femmine e di bere superalcolici senza fare una grinza, gli calza a pennello. Connery ha il sex appeal e l’eleganza sofisticata necessarie perché diventi una leggenda fin dalla sua frase di presentazione: “Il mio nome è Bond. James Bond”. E infatti, viene confermato per altri sei film sulle avventure dell’agente segreto al servizio di sua Maestà Britannica da “Agente 007-Licenza di uccidere” (1962) a “Mai dire mai” (1983). Disgraziatamente però, Connery ha perso tutti i suoi capelli già dall’età di 21 anni e così è costretto a recitare con un toupet in testa. 

Ma non solo 007 nella carriera di questo attore. Al massimo della sua fama viene diretto da Alfred Hitchcock nel giallo “Marnie” (1964) e molto importante, per non dire fondamentale, l’incontro con il regista Sidney Lumet, che lo imporrà come protagonista di pellicole come “La collina del disonore” (1965), “Rapina record a New York” (1972), “Riflessi in uno specchio scuro” (1973) e “Assassinio sull’Orient Express” (1974). 

Dopo essere stato diretto da Martin Ritt ne “I cospiratori” (1969), passa nelle mani di tre che arricchiranno (e non poco) la sua filmografia con tre bellissime e validissime pellicole: il primo è John Boorman che lo sceglie come protagonista di “Zardoz” (1973), il secondo è John Milius che lo vorrà ne “Il vento e il leone” (1975), e il terzo è John Huston che lo inserirà in “L’uomo che volle farsi re” (1975).

Conclusosi il matrimonio con la Cilento, Connery si butta fra le braccia di Micheline Roquebrune che gli rimarrà accanto dal 1975 in poi. Tornerà poi sul set nel film di Richard Lester “Robin e Marian” (1976), nonché nel bellico “Quell’ultimo ponte” (1977), e poi sarà diretto da Michael Crichton in “1855-La grande rapina al treno” (1978). Continua la sua carriera di interprete passando per le mani di talentuosi registi come Peter Hyams, Terry Gilliam, Fred Zinnemann, Richard Brooks, fino a un semisconosciuto Russell Mulcahy che gli farà interpretare il ruolo di un immortale, nonché maestro d’armi e di vita di Christopher Lambert nello struggente e fantastico “Highlander-L’ultimo immortale” (1986).

Nonostante l’età, Connery è ancora richiestissimo e lo dimostra il fatto che Jean-Jacques Annaud, al momento di trasporre sul grande schermo il best seller di Umberto Eco “Il nome della rosa” (1986), sceglie lui come protagonista offrendogli il ruolo di Guglielmo da Baskerville, una sorta di Sherlock Holmes con saio medievale. L’Oscar come miglior attore non protagonista gli arriva quando Brian De Palma lo inserisce nella pellicola Gli intoccabili (1987), che racconta l’arresto di Al Capone, nel ruolo del poliziotto Jim Malone. 
“Il presidio-Scena di un crimine” (1988), “Sono affari di famiglia” (1989) e “Indiana Jones e l’ultima crociata” (1989, dove interpreta il padre del noto avventuriero), sono gli ultimi film degli anni Ottanta.

Poi, dopo avere ricevuto una laurea ad honoris causa in Letteratura dalla St. Andrews University, si lancia il pellicole di avventura, di spionaggio o più semplicemente action-movies. Gli anni Novanta sono infatti quelli de “La Casa Russia” (1990), “Caccia a Ottobre Rosso” (1990), “Mato Grosso” (1992) e “Sol Levante” (1993) e non mancano i grandi rifiuti. No a “Jurassic Park” e no a “Die Hard-Duri a morire”, per scegliere invece pellicole mediocrissime come “Alla ricerca dello stregone” (1993) o il ruolo di un agente segreto nel filmone d’azione tutto catastrofici effetti speciali hollywoodiani “The Rock” (1996) di Michael Bay.

Insignito del premio Cecil B. DeMille, affianca una procace Catherina Zeta-Jones in “Entrapment” (1999), e poi si lascia dirigere dal regista indipendente Gus Van Sant in “Scoprendo Forrester” (2000). Nominato Sir dalla Regina Elisabetta, poi si dedica alla sua casa di produzione cinematografica la Fountainbridge Film.

L’ultimo film è “La leggenda degli uomini straordinari” (2003). La cataratta scende sui suoi occhi, rendendogli difficilissimo il suo mestiere. Trasferitosi a vivere fra la Spagna e le Bahamas con la moglie, rifiuta il ruolo di Gandalf nella trilogia di Peter Jackson “Il signore degli anelli” (2001-2003), così come rimanda al mittente il ruolo dell’Architetto negli ultimi due capitoli di “Matrix (2003)” e quello di Re Filippo di Macedonia in “Alexander”. Nel gennaio 2006, si fa rimuovere un tumore dal rene a New York e poi dà l’estremo saluto al cinema, annunciando nel 2006 il suo ritiro ufficiale.