WASHINGTON - A poche ore dall’inaugurazione della presidenza di Donald Trump, sono in molti a chiedersi quali saranno le ripercussioni sulle Nazioni Unite. I segnali sembrano chiari. La nuova amministrazione Usa sarà tutt’altro che una fan del multilateralismo. 

L’agenda internazionale del tycoon passerà per Elise Stefanik, nominata ambasciatrice Usa al Palazzo di Vetro e destinata a un ruolo chiave nella strategia di raffreddamento verso il resto dell’Occidente. Nata ad Albany, New York, 40 anni, laurea ad Harvard, Stefanik è diventata famosa per il suo carattere duro, da combattente, in particolare sull’antisemitismo. 

Proprio questo aspetto porterà a un cambiamento nei rapporti che gli Stati Uniti avranno alle Nazioni Unite con i partner europei. Sotto l’amministrazione Biden la linea è sempre stata di appoggio incondizionato a Israele, ma portando avanti, sottotraccia, negoziati per trovare punti di contatto con il Consiglio di sicurezza e l’Europa.

Trump non ha nessuna intenzione di cercare sponde e guarda con poco entusiasmo all’attività delle organizzazioni umanitarie legate all’Onu, considerate antisemite e propaggini della sinistra. 

Il gelo tra il futuro presidente e il resto del mondo è emerso chiaramente nella risposta data per settimane dal portavoce di Antonio Guterres, Stephane Dujarric, alla domanda se il segretario generale avesse sentito Trump per fargli gli auguri, in vista del nuovo mandato. “Al momento no – è stata sempre la laconica risposta ai giornalisti, durante i quotidiani incontri al Palazzo di Vetro – ma vi terremo aggiornati”.

Il silenzio perdura: Guterres aveva presenziato al funerale del presidente Jimmy Carter, mentre non è stato invitato all’Inauguration Day

Stefanik è destinata a portare avanti la linea isolazionista, quando guiderà la missione americana al Palazzo di Vetro. Ha infatti accusato l’Onu di non aver fatto pagare il conto ai nemici di Israele (Hamas, considerato dagli Usa un gruppo terroristico, e il suo principale finanziatore, l’Iran) e ha attaccato le agenzie per gli aiuti umanitari e il Consiglio dei diritti umani, per non aver “condannato in modo adeguato” Hamas. 

“In qualità di più grande contribuente alle Nazioni Unite – ha scritto Stefanik – gli Stati Uniti devono mettere l’Onu davanti a una scelta: riformare questo sistema che non funziona e fare della pace il cuore della sua azione, oppure continuare a percorrere il sentiero dell’antisemitismo, ma senza il sostegno dei contribuenti americani”. 

Un richiamo che ha ricordato, a molti, l’avvertimento lanciato da Trump agli alleati Nato. In questo caso non è in discussione la quota da pagare, ma l’isolazionismo cui il tycoon punta, attratto dall’idea di dividere il mondo in tre sfere di influenza: Stati Uniti, Russia e Cina. E con l’Europa ridotta a un ruolo marginale.

Il Palazzo di Vetro, nel futuro Consiglio di sicurezza, mostrerà presto questo cambiamento di linea degli Usa verso il mondo.