DAMASCO – Il nuovo governo della Siria dovrà prevedere nel suo programma lo svolgimento di elezioni. Questa la promessa di Ahmed al-Sharaa (noto con il nome di battaglia Abu Muhammad al-Jolani), leader del gruppo islamista jihadista Hayat Tahrir al-Sham (HTS), che controlla buona parte del Paese.

Una promessa formulata ai microfoni di Al Jazeera e giunta, non a caso, proprio mentre dal vertice di Aqaba giungeva la richiesta di costituire in Siria un “governo inclusivo” in un Paese, almeno formalmente, “unito” e “stabile”.

Nella città giordana sul Mar Rosso si sono incontrati i ministri degli Esteri della Turchia, principale sponsor di al-Sharaa, degli Stati Uniti e di altri Paesi occidentali e arabi, molti dei quali vicini a Israele.

Nel giorno in cui l’Isis ha rialzato nuovamente la testa nella Siria centrale, uccidendo sei pastori, proprio Israele ha proseguito la sua campagna di raid aerei contro obiettivi militari nelle aree a siriane a ridosso del poroso confine col Libano, dove gli Hezbollah appaiono sempre più accerchiati e indeboliti.

Finora nessuna condanna netta alle azioni di Israele è arrivata da al-Sharaa e dai suoi colonnelli, che guidano fino a marzo “un governo di transizione” monocolore, formato nei giorni scorsi senza consultarsi le altre forze politiche siriane.

Al-Sharaa ha detto di non essere in conflitto con Israele e che le sue forze non sarebbero comunque in grado di condurre una campagna (militare) contro lo Stato ebraico.

L’ex leader qaidista, che anche tornando al suo nome originale vuole apparire come moderato, ha aggiunto che in passato Israele ha operato in Siria con il pretesto della presenza dell’Iran, ma che ora, dopo la partenza degli iraniani, “non ci sono più scuse per un intervento straniero”.

Anche la Russia ha ormai ridotto la sua decennale presenza militare diretta in Siria. Mosca ha infatti annunciato il ritiro dal nord del paese, al confine con la Turchia, e dalle regioni montuose della costa, mantenendo per ora le due basi sul Mediterraneo, quella navale di Tartus e quella aerea di Hmeimim (Latakia).

In un contesto di veloce stravolgimento degli equilibri regionali preesistenti al 7 ottobre 2023, il leader di Hezbollah, Naim Qassem, ha ammesso che con la dissoluzione del potere siriano, incarnato da più di mezzo secolo nella famiglia Assad, il fronte filoiraniano in Siria è stato fortemente indebolito.

“Hezbollah ha perso la via di rifornimento (militare) attraverso la Siria”, ha detto Qassem. “Ma questo è un piccolo dettaglio che potrebbe cambiare nel tempo. Questa rotta può essere ripristinata con il nuovo potere, così come possiamo trovare nuovi mezzi”, ha aggiunto il leader sciita.

Sulle ceneri della presenza iraniana e russa in Siria, Stati Uniti, Israele e i loro alleati sembrano voler costruire un patto politico con gli attuali signori di Damasco, dove oggi la Turchia ha intanto riaperto la sua ambasciata.

Il segretario di Stato americano Antony Blinken, presente ad Aqaba dopo esser stato anche nel vicino Iraq, ha ammesso che Washington ha avuto “contatti diretti” con Hayat Tahrir al-Sham (HTS).

Contraddizione o realpolitik, lo si scoprirà con il tempo, HTS, e il suo leader Abu Muhammad al-Jolani, sono però da anni inseriti nella lista delle formazioni terroristiche dagli Stati Uniti, dall’Unione europea, Usa, da Paesi europei, e dal Regno Unito. Anche i russi, che affermano di voler rimanere in Siria per “combattere il terrorismo”, starebbero comunque negoziando proprio con HTS la loro permanenza a Tartus e Latakia.