Il primo confronto televisivo tra Anthony Albanese e Peter Dutton potrebbe essere un nuovo inizio della fase cruciale della campagna elettorale australiana. Appare infatti sempre più chiaro come l’elettorato si trovi oggi a fare i conti con due visioni politiche apparentemente moderate ma profondamente diverse nella sostanza, soprattutto in relazione alla gestione dell’economia in un contesto internazionale sempre più incerto.
La decisione di Donald Trump di imporre dazi su vasta scala ha scosso i mercati e creato un nuovo terreno di scontro anche in Australia. Il dibattito tra i due leader al Wenty Leagues Club di Wentworthville, nei quartieri ovest di Sydney, non ha risolto le incertezze, ma ha contribuito a chiarire i contorni di una contesa politica che, al di là dell’apparente “normalità”, si gioca su equilibri fragili e potenzialmente esplosivi.
Martedì sera Albanese, non nuovo al ‘format’, ha scelto un approccio più rilassato, attento a non eccedere nei toni, forse mirato più a non perdere punti che a guadagnarne. Il suo obiettivo primario era la stabilità della propria immagine e della propria credibilità, non l’attacco dell’avversario.
Dutton, al contrario, si è trovato in una situazione ben più delicata. Reduce da una prima settimana non delle più brillanti, con varie gaffe, la clamorosa retromarcia sulle politiche del lavoro e sull’occupazione nel settore pubblico, nonché, su base personale, persino l’annuncio dell’improvviso ricovero del padre a pochi minuti dall’inizio del dibattito, il leader dell’opposizione ha affrontato il confronto con quella che è sembrata una impellente necessità di riposizionarsi come politico affidabile.
Sarebbe sin troppo ingeneroso non riconoscergli il fatto che non abbia comunque ceduto al panico, mantenendo compostezza e lucidità. Tuttavia, dal punto di vista della gestione del dibattito, è sembrato abbastanza ‘costretto’ a muoversi in uno spazio angusto, vincolato da messaggi contraddittori: forte ma empatico, deciso ma flessibile, conservatore ma accogliente. Un equilibrio quasi impossibile da mantenere, soprattutto sotto i riflettori e le attenzioni delle persone presenti e dei tanti telespettatori.
Secondo il sondaggio istantaneo condotto tra i cento presenti, il dibattito ha visto prevalere Albanese con 44 preferenze contro le 35 attribuite a Dutton, 21 coloro che sono rimasti indecisi. Non certo un trionfo per il primo ministro, mancano ancora molti giorni e altre due opportunità di confronto televisivo, ma dal lato laburista comunque è stata la conferma di una immagine di leadership rassicurante e competente che il primo ministro sta cercando di proiettare.
Come si diceva, le visioni politiche, dei due contendenti alla Lodge convergono su molti temi verso il centro moderato, ma restano invece nette le divergenze se si sposta l’attenzione sull’economia, dove il confronto televisivo si è fatto più aspro.
La ‘tempesta perfetta’ che ha scatenato Donald Trump con la sua dirompente mossa sui dazi ha colpito anche l’Australia, la cui dipendenza dalle relazioni di import/export da e verso Asia e Stati Uniti non la rende immune dagli stravolgimenti finanziari e commerciali di questi giorni.
Albanese martedì sera, e Chalmers nel corso di questa prima settimana di campagna elettorale, enfatizzano la solidità della gestione economica laburista, sottolineando i surplus di bilancio registrati e la resilienza generale dell’economia. Ma questi risultati, e le politiche economiche utilizzate per raggiungerli, in un contesto che cambia rapidamente, potrebbero rivelarsi insufficienti. Dutton, dal canto suo, ha colto l’occasione per rilanciare il tema della “buona gestione economica” come marchio di fabbrica della Coalizione. Ha evocato la gestione della pandemia come esempio di capacità amministrativa e ha promesso di riportare il rigore nei conti pubblici. Tuttavia, le sue recenti retromarce politiche – su tutte quella riguardo al ritorno obbligatorio dei dipendenti pubblici negli uffici – hanno minato la percezione di coerenza e determinazione.
La domanda che Peter Dutton e i suoi pongono agli elettori: “state meglio oggi rispetto a quando Albanese è salito al governo?”, è tanto scontata nella sua risposta quanto incerta nei suoi effetti. Per una larga fetta della popolazione colpita dall’inflazione e dal caro vita, la replica è, evidentemente, un “no” senza esitazioni. Ma proprio perché così ovvia, rischia di non bastare a convincere gli indecisi a fidarsi di un’opposizione che, forse, solo martedì sera ha iniziato a dire con una certa chiarezza come farebbe meglio.
Il governo Albanese è stato accusato di avere speso troppo in maniera ricorrente, rendendo il bilancio strutturalmente deficitario. I critici sostengono che, in caso di una possibile crisi globale prolungata nel tempo, il peso del debito – già prossimo al trilione di dollari – ricadrebbe pesantemente sulle generazioni future. E lo stesso Tesoro ha lanciato l’allarme, il deterioramento delle condizioni economiche a livello globale potrebbe colpire duramente la crescita, l’inflazione e le entrate fiscali. In particolare, la discesa dei prezzi delle esportazioni minerarie – dai quali dipende in buona parte la salute delle finanze federali – rappresenta una minaccia concreta.
Dutton ha promesso di correggere la rotta, ma manca ancora di un piano dettagliato credibile su come intende aumentare la produttività, stimolare gli investimenti privati e sostenere l’occupazione. L’idea di tornare al rigore non basta da sola: serve un progetto organico, credibile e comunicabile in modo efficace. Finora, questo progetto non si è visto.
Oltre le dinamiche e le proposte, più o meno convincenti, dei due leader, ciò che colpisce di più in questa campagna è il clima di apatia generale. Secondo recenti sondaggi, l’elettorato australiano non appare fortemente coinvolto. La maggioranza degli elettori sembra disillusa, poco entusiasta, e incline più alla prudenza che al cambiamento.
In questo contesto, Albanese potrebbe essere il beneficiario di una sorta di legge non scritta della politica: in tempi incerti, gli elettori preferiscono ciò che già conoscono. Nonostante il calo del tenore di vita registrato negli ultimi due anni, il governo gode infatti ancora di un credito psicologico, in quanto ancora al primo mandato. La sensazione che “meriti un’altra chance” resta diffusa, Ma la partita, come insegna la politica australiana, può cambiare in un istante.