DOHA - Mentre con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca si rincorrono le ipotesi sui nuovi scenari in Medio Oriente, l’annuncio del Qatar, uno dei principali attori nel tortuoso percorso dei negoziati tra Israele e Hamas, di ritirarsi dal ruolo chiave di mediatore, ha spiazzato. 

Secondo quanto ha riferito a Times of Israel una fonte diplomatica, Doha avrebbe stabilito di non poter continuare la sua azione dal momento che nessuna delle due parti è disposta “a negoziare in buona fede”.

Secondo il diplomatico le trattative per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi “sono diventate più una questione di politica ed elezioni” sia per Israele sia per Hamas, anziché un “tentativo serio di garantire la pace”. Entrambe le parti, ha aggiunto, si sono tirate indietro dagli impegni assunti durante i negoziati: l’impegno c’è stato solo per ragioni di “ottica politica”.

E se non c’è mediazione a Doha mancherebbe una ragione per consentire ad Hamas di mantenere la sede del suo ufficio politico all’interno del Paese.

La richiesta, che al momento non avrebbe tempistiche precise, potrebbe essere revocata “se entrambe le parti dimostrassero una sincera volontà di negoziare in buona fede”. Hamas, da parte sua, ha fatto sapere tramite un funzionario di non aver “ricevuto alcuna richiesta di lasciare il Qatar”. 

Anche Israele deve rivedere la propria politica, soprattutto in visa della possibilità che il Consiglio di Sicurezza Onu decida di limitare le operazioni dell’esercito israeliano e che, con il cambiamento al vertice della Casa Bianca gli americano possano astenersi dall’usare il loro potere di veto per proteggere gli interessi israeliani proprio in sede di Consiglio di Sicurezza.

Per questo, ha fatto sapere Channel 12, Tel Aviv starebbe considerano seriamente l’opzione di raggiungere un accordo di cessate il fuoco limitato nel tempo con Hezbollah. Nel frattempo, però, ha continuato le operazioni in Libano orientale e meridionale uccidendo almeno una trentina di persone e causando decine di feriti.

Secondo fonti vicine a Hezbollah, Israele avrebbe chiesto alle forze Unifil di limitare i propri movimenti nelle aree a sud del fiume Litani, nonché in altre località del Libano meridionale, che potrebbero indicare un’espansione dell’operazione di terra in Libano.

Una richiesta che arriva a ventiquattro ore dalla distruzione, da parte dell’esercizo israeliano di una recinzione e una struttura in cemento in una posizione Unifil a Ras Naqura. L’ennesimo episodio denunciato dal personale della missione Onu in Libano e liquidato da Tel Aviv come un incidente.

“Nonostante le inaccettabili pressioni esercitate sulla missione attraverso vari canali, i peacekeeper continueranno a svolgere i nostri compiti di monitoraggio e informazione obbligatori ai sensi della risoluzione 1701”, hanno dichiarato i funzionari Unifil. I bombardamenti proseguono anche nella Striscia di Gaza, dove Tel Aviv ha annunciato la prima consegna di aiuti da settimane. Undici camion di aiuti contenenti cibo, acqua e attrezzature mediche sarebbero arrivati nel campo profughi di Jabaliya, al nord della Striscia.

Una comunicazione che arriva pochi giorni prima della scadenza del termine fissato dagli Stati Uniti per migliorare le consegne israeliane di aiuti a Gaza.