ANKARA - Il direttore del Centro di studi islamici e arabi dell’Università statale di San Diego (Sdsu), Ahmet T. Kuru, ha pubblicato un’analisi in cui indaga su motivazioni, retroscena e possibili risvolti politici dell’incarcerazione del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, avvenuta alle prime ore di ieri. La detenzione come strumento di censura delle opposizioni, ricorda il politologo sul sito di approfondimenti The Conversation, non è una novità in Turchia.
Selahattin Demirtas, l’ex leader del partito pro-curdo Partito Democratico dei Popoli, è stato in carcere per oltre otto anni con accuse di terrorismo; Umit Ozdag, leader del Partito della Vittoria, di estrema destra, è in prigione da due mesi per aver insultato Erdogan e incitato all’odio. Sebbene fossero figure scomode per il potere di Erdogan, nessuno dei due costituiva una vera minaccia, mentre Imamoglu ha, secondo il docente, un ampio appeal tra diversi blocchi elettorali, riuscendo ad attrarre il voto curdo, pur mantenendo forti legami con i politici nazionalisti grazie al suo carisma e alla sua oratoria.
Inoltre, il primo cittadino di Istanbul è considerato un candidato che può unire elettori laici e islamici, mostrando ammirazione per il fondatore della Repubblica Kamal Ataturk, laico e nazionalista, ma recitando, allo stesso tempo, versetti del Corano in pubblico.
Questa capacità di federare diverse opinioni politiche ha aiutato Imamoglu a sconfiggere il partito di Erdogan a Istanbul due volte nel 2019 (dopo la prima sconfitta, Erdogan rifiutò di accettare il risultato e il Consiglio supremo elettorale annullò l’elezione). La rielezione di Imamoglu come sindaco nel 2024 ha consolidato la sua reputazione di politico di punta, in grado di battere Erdogan alle urne.
Già le elezioni municipali turche del 2024 hanno segnato un cambiamento nella politica interna, con il Chp di cui fa parte Imamoglu che ha superato l’Akp di Erdogan per la prima volta dal 2002, ottenendo sia la città più grande, Istanbul, che la capitale Ankara. La minaccia si è fatta più pressante, agli occhi del presidente turco, alla vigilia delle primarie del partito di Imamoglu, il Chp, previste il 23 marzo.
In questa cornice si inserisce l’arresto di ieri e, ancor prima, il ritiro della laurea di Imamoglu: un titolo di studio che datava di oltre 30 anni e il cui annullamento gli avrebbe impedito la candidatura, dal momento che secondo la costituzione turca è un requisito necessario a correre per la presidenza. Ma le accuse contro Imamoglu, sempre secondo l’opinione di Kuru, sarebbero mosse da un obiettivo ancora più ambizioso: impedirgli di ricoprire qualsiasi incarico pubblico.
In un apparente tentativo di neutralizzare la minaccia costituita dal sindaco a cinque mesi dalle elezioni presidenziali del 2023, un tribunale aveva condannato Imamoglu a 2 anni e mezzo di prigione per aver insultato funzionari pubblici, dopo aver definito “stupidi” i membri del Consiglio Supremo Elettorale della Turchia.
La sentenza è ora in fase di appello e, se confermata, impedirebbe a Imamoglu di ricoprire incarichi pubblici, incluso il ruolo di sindaco. Questo darebbe una vittoria tripla per Erdogan: sarebbe in grado di riprendersi la carica di sindaco di Istanbul, nominando un funzionario scelto da lui, spingerebbe per modifiche costituzionali intimorendo i parlamentari ed eliminerebbe il suo rivale più forte da qualsiasi futura corsa presidenziale.
Il professore di Scienze Politiche ricorda anche la storia recente del Chp, dove una leadership debole sarebbe stata fondamentale per il consolidamento del potere di Erdogan; per 20 anni, la guida di Kemal Kilicdaroglu ha accumulato sconfitte nelle elezioni presidenziali, parlamentari e municipali.
Un fattore importante nel calo della popolarità di Erdogan e del suo partito è la crisi economica. Dal 2022, il tasso di inflazione annuale della Turchia è rimasto intorno al 50%, erodendo il potere d’acquisto e provocando una significativa emigrazione dei turchi più qualificati.