Ricordo sempre con una nota di nostalgia le lezioni di italiano al liceo classico e dove la nostra professoressa si sforzava di catturare l’attenzione di noi studenti, distratti dai tumultuosi stati d’animo adolescenziali, introducendoci alle sfide letterarie e personali di Dante Alighieri, questo poeta così serio, solenne, con una scrittura criptica e talvolta distante a causa del linguaggio arcaico e della complessità dei suoi temi.
Dante ha sempre rappresentato una sfida per i lettori moderni, considerando anche le trasformazioni subite dalla lingua italiana dal tempo della “Divina Commedia”, sua opera massima, scritta all’alba del XIV secolo.
Se si ha la fortuna, nella vita, di imbattersi in un professore come Alessandro Barbero che, oltre ad essere un eccellente oratore riesce anche a tenere alto l’interesse, mantenendo il pubblico col fiato sospeso, si riscopre il desiderio di apprendere sempre di più.
In occasione del Dantedì 2024, la giornata dedicata al padre della lingua italiana, proclamata dal governo italiano come giorno per celebrare il Sommo Poeta, la Dante Alighieri Society di Sydney ha organizzato una conferenza in diretto collegamento con il professore Barbero dall’Italia, alla quale la comunità italiana di Sydney ha partecipato con grande coinvolgimento.
All’evento, tra gli altri, ha partecipato anche il direttore dell’Istituto di Cultura, Paolo Barlera.
Inoltre, la Dante Alighieri Society ha lanciato un progetto in programma che ha suscitato l’interesse di altre istituzioni, pianificando una serie di incontri che coinvolgeranno sia il mondo accademico sia la comunità australiana.
Questi eventi vedranno la partecipazione del professor Barbero, prevista in Australia tra marzo e aprile del prossimo anno.
Alessandro Barbero, torinese, classe 1959, è uno storico, un professore universitario e uno scrittore rinomato sia in Italia che all’estero ed è specializzato in storia medievale e militare.
Ha impiegato circa tre anni a scrivere il libro “Dante”, oggetto di discussione della conferenza, offrendone un ritratto umano e complesso.
Lo storico, afferma che l’immagine di Dante che abbiamo è in gran parte frutto di invenzioni rinascimentali, come la sua presunta laurea simboleggiata dalla cappa rossa, raffigurandolo come un uomo diverso da come è stato dipinto.
Concetta Perna, presidentessa della Dante Alighieri Society di Sydney ha condotto la conferenza, presentando una sessione di domande e risposte con il professore volte ad esplorare vari argomenti, tra cui l’immagine di Dante come combattente e la sua presunta nobiltà, la famiglia e l’amore, domande sulla “Divina Commedia”, l’impatto dell’esilio sulla sua creatività e domande sulla sua identità legata alla città di Firenze.
Le risposte di Barbero hanno evidenziato l’importanza della nobiltà per Dante, sottolineando che la sua partecipazione alla battaglia di Campaldino nel 1289 non è stata solo un capitolo fondamentale della sua vita, ma anche un episodio che lo connette in modo significativo ai valori e alle strutture sociali del suo tempo.
Dante era discendente da una famiglia di commercianti, ma aveva legami stretti con la nobiltà attraverso le sue amicizie con persone come Guido Cavalcanti e Forese Donati.
La rappresentazione di Dante come guerriero a cavallo rispecchia la realtà più di quanto non faccia l’iconica immagine del poeta coronato d’alloro, poiché, non avendo nobili origini, combattere a cavallo era un modo per lui di manifestare la sua ascesa sociale nella società fiorentina dell’ epoca.
Dante proveniva da una famiglia di usurai, una professione malvista dalla Chiesa ma piuttosto comune nel Medioevo.
Tuttavia, l’utilizzo dei profitti derivati da tale attività per finanziare la partecipazione alla guerra con cavallo e armatura era sintomo di nobilitazione sociale. Questo è il motivo per cui è significativo che Dante abbia combattuto a cavallo durante la battaglia di Campaldino.
La presidentessa della Dante Alighieri di Sydney ha anche ricordato come Dante non menzioni mai i genitori o la moglie, pur essendo sposato con Gemma Donati ma innamorato di Beatrice.
Barbero ha chiarito che, nonostante Dante fosse sposato con Gemma, il suo amore per Beatrice era di natura idealizzata e poetica, tanto che una delle sue figlie fu chiamata Beatrice.
Nell’ambito sociale in cui viveva Dante, il concetto di amore romantico e passionale era distinto e separato dal matrimonio, che era visto più come un’alleanza strategica tra famiglie. Il matrimonio andava oltre l’amore passionale e si orientava piuttosto verso obiettivi pratici.
Lo storico ha spiegato che nell’epoca di Dante, il matrimonio era basato su criteri pragmatici quali status sociale, ricchezza e legami familiari, simili a come oggi si sceglierebbero i soci di un’azienda: non per affetto, ma per le loro qualità e ciò che possono apportare all’impresa.
“L’esperienza del colpo di fulmine, del desiderio irresistibile e irrazionale verso un’altra persona, esisteva anche nel tempo di Dante, proprio come oggi. Mentre i comportamenti sociali e i modelli di relazione cambiano nel tempo, certe emozioni fondamentali rimangono costanti attraverso le epoche”, ha detto Barbero.
Dante stesso, pur provando un amore intenso per Beatrice, non considerava il matrimonio come l’esito naturale di quell’innamoramento. In altre parole, l’amore passionale era vissuto ed espresso in modi diversi, non necessariamente connessi alle convenzioni del matrimonio” ha ribadito lo storico.
La conferenza è proseguita con l’approfondimento delle tematiche della “Divina Commedia”.
Concetta Perna ha interrogato Barbero sull’interpretazione del famoso incipit dell’opera: “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita”.
Molti hanno letto questi versi interpretandoli con vari significati ma Barbero ne ha proposto un’ulteriore interpretazione, legata al contesto biografico e storico di Dante.
Il professore ha indicato come Dante collocasse l’inizio del suo viaggio dell’oltretomba in un momento ben preciso della sua vita, intorno al Venerdì Santo dell’anno 1300, che per lui simboleggiava la metà del percorso della vita, secondo l’aspettativa biblica dei 70 anni.
Barbero ha fatto notare come, in quell’anno, Dante fosse profondamente coinvolto nella politica attiva di Firenze, assumendo anche il ruolo di priore, uno dei sei governatori della città.
Questo potrebbe suggerire che Dante stesse vivendo un momento difficile e fosse consapevole dei rischi di corruzione e compromesso, insiti nell’attività politica dell’epoca.
La questione dell’esilio è stata poi esplorata da Paolo Barlera, che ha chiesto a Barbero di riflettere sull’impatto dell’esilio sulla vita e l’opera di Dante.
Il professore ha descritto l’esilio come una tragedia immensa per il poeta, sottolineando come la perdita della cittadinanza fiorentina significasse un’alterazione profonda della sua identità personale.
Nonostante l’amarezza e la difficoltà di vivere isolato dai suoi affetti e dal suo mondo, Barbero ha sottolineato come proprio questa esperienza abbia spinto Dante a scrivere la “Divina Commedia”, citando lo stesso poeta, il professore parla de ‘l’amarezza di esser fuori, mangiare e dormire a casa d’altri’.
Ha spiegato Barbero che “questa amarezza non lo lascerà mai e in questo contesto lui scrive la Divina Commedia che è anche un modo per regolare un’infinità di conti, con un mondo che lui vede pieno di mostri, ipocriti, criminali. Ad esempio, Dante colloca tutti i papi all’inferno”.
Barbero ha enfatizzato come Dante, nonostante le numerose distrazioni e i progetti lasciati incompiuti, non si sia mai stancato della “Divina Commedia”, sostenendo che l’esilio abbia reso l’opera non solo possibile, ma anche fondamentale.
Infine, Barlera ha posto una domanda su cosa significasse la patria per Dante.
In risposta, Barbero ha confrontato il concetto moderno di patria con quello del tempo di Dante, sottolineando come l’identità personale fosse, appunto, definita dalla cittadinanza della propria città, nel contesto dei comuni indipendenti italiani dell’epoca.
Secondo Barbero, un fiorentino che si spostava in una città vicina come Pistoia o Prato diventava uno straniero, non protetto dalle leggi della sua città natale.
“Per Dante, quindi, la patria era indiscutibilmente Firenze, e l’esilio rappresentava la perdita di questa identità fondamentale” ha aggiunto lo storico.
Durante la conferenza, il professore ha dipinto un ritratto di Dante che bilancia con maestria l’umano e lo storico, penetrando oltre i veli dei miti rinascimentali per rivelare l’essenza autentica del Sommo Poeta.
Ha esplorato con acutezza la complessità del Dante “persona”, evitando di relegarlo al solo ruolo di poeta per aprirci gli occhi su un uomo vibrante di passioni, tormenti amorosi e una costante sete di nuove avventure intellettuali.
Dante appare come un essere umano in perpetua evoluzione, capace di innamorarsi fervidamente delle sue recenti scoperte per poi spostare l’attenzione verso nuove frontiere di pensiero.
Le sue vulnerabilità e i suoi dilemmi interiori lo avvicinano sorprendentemente a noi, tuttavia, la sua straordinaria genialità lo eleva a un’icona impareggiabile nella letteratura globale.