L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e di cannella... non erano che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un vapore carico di aromi, si scorgevano poi i fegatini di pollo, gli ovetti duri, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi impigliate nella massa untuosa, caldissima dei maccheroncini corti cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio”. È la sensuale descrizione che Tomasi di Lampedusa fa del proverbiale timballo di maccheroni del Gattopardo alla lussureggiante tavola dei principi di Salina e che viene definito dal Telegraph inglese ”il piatto di pasta più sexy nella storia della letteratura”. Quando i Salina vanno a passare l’estate a Donnafugata, è tradizione dare un ricevimento con una cena che ha nel timballo il suo piatto centrale. Preparata con maestria dai Monsù, termine proveniente dal francese “monsieur” e indicante il cuoco professionista, partecipano gli amici di sempre. Ma in quella serata, che doveva essere uguale alle altre fino a quel momento vissute, nella grande sala entra Angelica, una fanciulla dalla bellezza prorompente, che avrebbe fatto capitolare Tancredi, stravolto le sorti della casata e ammaliato il principe, rapito da quella Venere in terra, dalla sua freschezza e spontaneità. In quella atmosfera, resa magica dal tremolio delle candele che illuminavano la sontuosa tavola, apparve il “Timballo di maccheroni“. Il timballo di maccheroni, chiamato anche “Timballo dei Monsù”, è un piatto borbonico, dei tempi del Regno delle Due Sicilie. Alla pasta brisè che fa da involucro, si aggiungono, strato dopo strato, fette di melanzana fritte, prosciutto cotto, formaggio ragusano fresco, maccheroncini fatti in casa, conditi con il sugo delle feste a base di carne, maiale, pollo. Il tutto amalgamato con besciamella profumata alla vaniglia bourbon.