ROMA - Giovedì il clima nel Movimento 5 Stelle era già cambiato. La votazione online richiesta da Luigi Di Maio per confermare il suo ruolo di capo politico su Rosseau è stata un successo, non solo per la partecipazione, che la Casaleggio ha celebrato giustamente come “il record mondiale per una votazione online in un singolo giorno per una forza politica”, ma anche per il leader stesso, visto che l’80% degli oltre 56mila votanti lo ha confermato come capo politico.
“La riconferma del mio ruolo di capo politico è solo il primo passo per avviare una profonda organizzazione del Movimento 5 Stelle, per renderlo più vicino ai cittadini, ai territori, per rimarcare la nostra identità” ha scritto Di Maio dopo la votazione.  “Tra qualche settimana - ha poi spiegato -  conoscerete la nuova struttura organizzativa che per me deve prevedere compiti ben precisi in capo a persone individuate dal Movimento”. E infine, forte anche del sostegno del gruppo parlamentare arrivato dopo una riunione durata fino a tarda notte, alla quale era presente anche Alessandro Di Battista, ha tentato di rilanciare: “Il Movimento 5 Stelle - ha scritto - non perde mai. O vince, o impara”.
Se così sarà e il Movimento avrà davvero imparato la lezione che quest’anno di governo gli ha impartito solo il tempo potrà dirlo, ma che Di Maio e il suo più ristretto circolo di collaboratori la lezione l’abbiano imparata è difficile da credere. 
Ne sarebbe stato un segnale la scelta di recuperare il vecchio streaming per rendere pubblica la riunione dei gruppi parlamentari e far assistere la base al confronto, invece che chiamarla solo a premere il pulsante del mouse per confermare il leader. 
Ne sarebbe stato un segnale l’aprire il dibattito sulle scelte riguardo la nuova struttura da dare al Movimento, invece che liquidare la base con un “tra qualche settimana vi faremo sapere”. Senza spiegare da chi verrà definita o immaginata questa nuova struttura e confermando il sospetto che verrà calata dall’alto, come successo in precedenza con il famoso “direttorio”, con il nuovo “statuto”, o con la scelta personale di Di Maio dei candidati per aprire alla “società civile”. 
E invece niente di tutto questo,  tanto che proprio uno di questi candidati ,scelti personalmente da Di Maio, nelle scorse ore se n’è uscito così: “Luigi è il Movimento, nel senso che ne incarna e ne ha sintetizzato tutte le aspirazioni”. Una candida conferma del rischio che i 5 Stelle si stiano trasformando in un partito personale, incentrato su un uomo solo e su un circolo di personaggi che alla fine non si prende nemmeno le proprie responsabilità, coprendosi con un voto su Rosseau solo per azzerare il confronto. 
Una conferma che il Movimento di cose da imparare ne ha ancora tante e qualcuno al suo interno lo sa bene: “Ho subito detto di non essere d’accordo con il lancio della votazione su Rousseau. E per questo non parteciperò al voto. - ha detto Roberto Fico davanti ai parlamentari del Movimento -  Sono sempre stato contrario alla politica che si identifica in una sola persona. Se il focus resta sulla fiducia da accordare o meno a una figura, e non sui tanti cambiamenti che invece, insieme, occorre porre in essere, non ci potrà essere alcuna evoluzione. Significa non cambiare niente”. E ancora: “Ritengo che non si possa mettere in discussione una persona o dei temi, solo perché c’è un umore elettorale diverso nel Paese. O si cambia e si migliora perché crediamo sia giusto farlo oppure tutto quello che faremo sarà inutile”. Il punto, continua Fico, “non è tornare ai principi originari”, ma “dirci con forza e chiarezza a quali valori e principi aderiamo. E quindi chi siamo”. Infine, la questione più importante, quella della serietà. “Ieri ho anche parlato di comunicazione.  - ha concluso il Presidente della Camera  - Sappiamo tutti quanto sia pervasiva in tanti modi nel nostro quotidiano. Figuriamoci in politica. Ma proprio per questo, e soprattutto in politica, abbiamo bisogno di anteporre alla parola comunicazione, la parola etica. Nello scenario attuale, ovunque nel mondo, la comunicazione – e non l’informazione – ha fagocitato la politica snaturandola. Capita che si facciano scelte in momenti importanti prendendo in grande considerazione i sondaggi, riferendosi solo al presente senza pensare che la politica deve ragionare guardando molto in avanti negli anni e non solo alle scadenze elettorali. Purtroppo anche noi siamo caduti in questa trappola, ma una comunicazione così fatta è malata. Non fa bene a noi e al Paese. Senza scendere in un terreno di scontro comunicativo basso e poco etico, - aggiunge - dobbiamo portare una visione strutturale di Paese, un confronto e una diffusione di contenuti etici, raccontando sempre la verità agli italiani. Qualunque sia il prezzo da pagare. Perché questo significa tentare di rimanere coerenti in un mondo che così articolato ti rende quasi necessariamente incoerente”.
Con il suo messaggio Fico centra tutti i punti critici, perché pensare di aggiustare la disfatta di sei milioni di voti persi con un referendum online di qualche migliaia di clic è una ingenuità che non fa onore a Luigi Di Maio, il politico più giovane della storia italiana ad essere leader del primo partito d’Italia. La consultazione online sul suo mandato di capo politico dopo la sconfitta alle Europee, è un’umiliante schiaffo per tutti coloro che alle elezioni del 2018 hanno votato il M5s e anche per quelli di loro che domenica scorsa si sono ritirati nuovamente nell’astensione, circa quattro milioni di persone, che si sono messe giustamente in attesa per capire quali saranno i risultati portati dall’esperienza di governo. 
Mettere in discussione un mandato che quasi un italiano su tre ti ha assegnato alle scorse elezioni politiche, per il risultato di elezioni che politiche non sono, è una genialata di cui può essere artefice solo qualche personaggio di cui Di Maio si circonda per gestire la sua comunicazione e  a quanto pare anche la sua strategia politica, che di quella comunicazione è diventata ormai riflesso. Esattamente quello che Fico ha spiegato che bisogna evitare. Assumersi la responsabilità dei propri errori non significa chiedere un voto su Rosseau, ma fare un serio esame di coscienza sullo snaturamento in senso verticistico e accentratore della gestione del Movimento, che è stata un disastro e, invece che pensare a dimettersi o far cadere il governo, rimboccarsi le maniche. Gli italiani giudicheranno alla fine della legislatura, riemergendo dall’astensione alle prossime politiche. Di 
Maio ne può essere certo. E se vuole che riemergano dalla parte del M5s forse sarebbe meglio riflettere sulle parole accorate di Fico, o su quelle decisamente più sferzanti del direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio, che gli consiglia di tornare a leggere un po’ di più il blog di Grillo e di meno i “giornaloni”. Di liberarsi dei lacchè e dei miracolati che lo attorniano e di circondarsi di gente valida, cioè critica. E infine di abbandonare le piazze televisive dei talk show e ritornare in quelle vere, magari smettendo il doppiopetto e l’aria da saputello che negli ultimi mesi sia lui, sia alcuni dei suoi fedelissimi, hanno messo su. Le arie se le danno i mediocri per sembrare interessanti, non le persone serie, non ne hanno bisogno. Grillo docet. 
                Luca M. Esposito