Uno studio approfondito sui vini romani ha rivelato che la preziosa bevanda era ricca di aromi speziati e molto complessi, aveva grande bevibilità e soprattutto non rendeva brilli, merito dell’utilizzo di tipici contenitori di argilla. Tutte caratteristiche e tecniche che avvicinano i vini dell’Antica Roma a quelli prodotti all’epoca nel Caucaso e ancora oggi in Georgia. 

Gli archeologi hanno dimostrato che 2.000 anni fa gli antichi romani producevano vini deliziosi, tra cui una bevanda particolarmente pregiata color ambra che aveva l’aroma di noci e spezie e una gradazione alcolica di circa l’11%. Il gusto caratteristico richiamava al pane tostato e alle noci, certamente sapori sconosciuti al bevitore moderno, ma soprattutto il vino in questione non lasciava sbornie. 

Una specificità che potrebbe aiutare a spiegare la passione dei romani per i banchetti lunghi e alcolici. Due millenni dopo, pratiche molto simili sono sopravvissute nella Georgia moderna, dove già in tempi antichi si produceva un vino molto simile a quello dei romani.

Un ruolo importante, e comune, nel processo di vinificazione è proprio il tipo di contenitore utilizzato sia dai romani che dai georgiani per la macerazione dell’uva. Nel mondo romano, si trattava di grandi vasi di terracotta chiamati dolia, che venivano sepolti durante la fase della fermentazione e successivamente per la conservazione e l’invecchiamento delle bevande. 

Allo stesso modo in Georgia nelle vecchie cantine del XII al XVI secolo sono stati ritrovati contenitori tradizionali ispirati alle navi, chiamate qvevri, e usati nel Caucaso, in terracotta, molto simili a quelli degli antichi romani. Nessuno studio aveva ancora esaminato attentamente il ruolo di questi vasi di terracotta nella vinificazione romana e il loro impatto sull’aspetto, l’odore e il gusto dei vini antichi.

I romani seppellivano i loro dolia nel terreno, lasciando inizialmente i coperchi aperti durante la fermentazione, come riscontrato nei siti di Pompei e Boscoreale nella regione Campania e a Le Muracche, in Abruzzo. 

A differenza dei contenitori metallici utilizzati nella moderna vinificazione industriale, i dolia di argilla erano porosi e permettevano al contenuto di reagire con l’ossigeno proveniente dall’esterno.