CANBERRA - Secondo lo studio, si stima che il 12% dei visti permanenti viene assegnato a lavoratori qualificati, mentre più del 60% è destinato a familiari e richieste secondarie.
Il rapporto indica che l’ingranaggio principale che alimenta l’occupazione qualificata non sono i migranti permanenti, ma i titolari di visti temporanei come studenti internazionali, laureati e titolari di visto vacanza/lavoro, che coprono oltre l’80% della crescita nell’impiego in ruoli manageriali, professionali e tecnici.
Per i critici, soprattutto nella fazione più a destra della Coalizione, questi dati confermano che il programma migratorio è “compromesso”: promette competenze ma finisce per privilegiare ricongiungimenti familiari e visti che, per legge, non sono nemmeno soggetti a limiti numerici. Gli autori del rapporto, i professori Alan Gamlen e Peter McDonald, propongono una riforma radicale che sposti l’attenzione sui richiedenti primari qualificati, con visti per familiari e partner gestiti in modo separato e “demand-driven”, per ristabilire chiarezza e fiducia nel sistema.
Il governo Albanese, invece, ha scelto la continuità politica, confermando per il 2025-26 lo stesso tetto di 185mila ingressi annuali e sottolineando il valore “inclusivo” del programma e il suo ruolo nel sostenere la crescita economica.
Il ministro dell’Immigrazione Tony Burke ha ribadito che il piano mantiene “un focus sulla migrazione qualificata” e che le consultazioni con Stati e Territori sostengono la composizione attuale. Tuttavia, queste dichiarazioni suonano più di natura valoriale che tecnica: il governo non ha contestato i dati dell’ANU né presentato un piano dettagliato per aumentare la quota di lavoratori altamente qualificati.
Il contrasto tra i due schieramenti è netto: da una parte un approccio basato su fatti e statistiche che evidenziano la carenza di competenze e chiedono un reset del sistema; dall’altra, una narrativa politica che invoca i valori di una “nazione di migranti” e la necessità di coesione sociale, senza però sciogliere i nodi strutturali segnalati dagli esperti.
Anche nel Partito liberale la questione è diventata terreno di scontro interno: alcuni spingono per una linea dura sul numero degli ingressi, mentre altri temono che un linguaggio troppo intransigente possa allontanare elettori moderati e trasformare il partito in una copia delle destre populiste europee.
In questo scenario, le recenti manifestazioni anti-immigrazione in tutte le capitali del paese — che hanno visto decine di migliaia di persone scendere in piazza — mostrano che la frattura rischia di ampliarsi. Per il momento, il governo sembra voler smorzare i toni e mantenere la rotta, ma il confronto tra numeri e ideologie non è destinato a spegnersi presto.