PRISTINA - A cinque mesi dalle elezioni di febbraio, il Kosovo non è ancora riuscito a formare un nuovo governo, rimanendo intrappolato in uno stallo politico. Nonostante ciò, l’ex primo ministro Albin Kurti, che ha ottenuto solo la maggioranza relativa, continua a esercitare il ruolo di leader de facto.

Attraverso una serie di riforme definite “provocatorie e dannose” dall’Unione Europea, sta smantellando i servizi paralleli gestiti da Belgrado per le comunità serbe presenti nel Paese. 

Negli ultimi mesi, Kurti ha cercato di chiudere banche e altri istituti o, nella migliore delle ipotesi, portarli sotto il controllo del governo. Questi servizi, da sempre strumenti efficaci per Belgrado nel mantenere la lealtà delle aree a maggioranza serba, sono al centro delle tensioni. 

Le azioni di Kurti continuano, nonostante le sanzioni della Ue imposte nel 2023. All’inizio di settembre, Bruxelles ha chiesto nuovamente al premier a interim di fermare la chiusura dei servizi nel nord del Paese. Kurti, da parte sua, ha definito le misure europee “ingiuste” e ha proseguito nella chiusura di quei servizi che il suo ufficio considera “strumenti di intimidazione, minaccia e controllo” da parte della Serbia. 

Le crescenti tensioni nelle enclave serbe fanno temere un ritorno della violenza, come avvenuto in passato, quando fu necessario l’intervento della Nato. Anche Washington ha espresso preoccupazione, cancellando discussioni ad alto livello con il Kosovo e ammonendo che le azioni di Kurti potrebbero “aumentare le tensioni e l’instabilità” nel Paese. 

L’influenza serba rimane una preoccupazione concreta per Pristina, alimentata dalle frequenti accuse di spionaggio. Lo scorso mese, un ufficiale dell’esercito croato e una donna sono stati arrestati a Spalato, nella Croazia orientale, accusati di spiare le forze di peacekeeping guidate dalla Nato in Kosovo per conto di gruppi serbi. Il procedimento è in corso, ma questi eventi, insieme allo stallo politico, aumentano il rischio di un’escalation improvvisa. 

Diversi analisti avvertono che il Kosovo potrebbe perdere ulteriori finanziamenti della Ue a causa della crisi in corso. La stasi parlamentare rischia di far collassare le istituzioni. “Il Kosovo non ha altra soluzione che andare nuovamente al voto – spiega l’esperto di economia Safet Gerxhaliu –. I cittadini stanno pagando un prezzo elevato. Se la crisi non sarà risolta entro la fine dell’anno, ci troveremo in una vera e propria crisi istituzionale molto rischiosa”.