BERGAMO - Stanno suscitando molto clamore le chat che, nei primi giorni di emergenza Covid, i responsabili della gestione sanitaria si sono scambiati tra loro e che sono agli atti dell’inchiesta della procura di Bergamo su quanto accaduto in Lombardia all’arrivo del virus.

Una serie di commenti, opinioni, considerazioni – in forma di frasi forti ed espressioni a volte anche colorite – che dicono molto del clima di confusione, contraddizione, da vera “navigazione a vista”, nel quale le autorità sanitarie competenti affrontavano la gestione dello scoppio della pandemia in quei drammatici giorni.

“Sta succedendo di tutto: pareri del comitato difformi da Conte e ministro, ripensamenti sollecitati, gente richiamata a venire qui, la guerra mondiale”, così in uno dei messaggi scrive un allarmato  Giuseppe Ruocco, ex segretario generale del Ministero della Salute, a una funzionaria del dicastero. “Mancano le maschere, - continua - Conte ci fa cambiare le misure per la prossima settimana (chiusure/aperture), mano a mano che sentono le regioni; ci chiedono di ipotizzare ospedali da campo e attrezzature relative; ci chiedono linee guida per la gestione sub-intensiva dei pazienti”.

Il 22 febbraio 2020, il giorno dopo la scoperta del Paziente 1, il presidente dell'Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, appare scettico sull'uso dei tamponi a tappeto e lo scive a Francesco Curcio, direttore del Dipartimento di medicina di Laboratorio di Udine: "Il tema è che tutti pensano che il test serva a qualcosa”, scrive Brusaferro. Quasi un mese dopo, il 15 marzo, in pieno lockdown, anche Ranieri Guerra, allora numero due dell'Oms, scrive a Brusaferro, che “fare tamponi a tutti, adesso, è la c****ta del secolo”, ma il presidente dell’Iss replica sconsolato che sui tamponiognuno va per conto suo”. Allora Guerra prova a rassicurarlo: “ho parlato con Galli (Massimo Galli, infettivologo dell’Ospedale Sacco di Milano, ndr) e gli ho detto di desistere dal proporre scemenze come tamponi per tutti... ha convenuto, spero...”.

Le chat raccontano insomma di opinioni dissonanti e contrasti anche ai massimi vertici della struttura sanitaria, che sembra non consapevole pienamente di come la situazione lombarda e bergamasca fosse degenerata rapidamente e delle difficoltà dei dirigenti pubblici nello spiegare chiaramente quale fosse la gravità di ciò che si stava vivendo.

Più consapevole appare invece il sindaco di Nembro, Claudio Cancelli, che la sera del 3 marzo commentava con un imprenditore  la notizia, in circolazione come ipotesi, dell'istituzione di una zona rossa in Val Seriana. Dicendosi favorevole il primo cittadino fa infatti notare anche che, per come venivano stabilite, le cose non avrebbero funzionato. “Io sarei stato drastico su ristoranti, bar, centri sportivi, etc. – scrive Cancelli - E invece le varie lobby li hanno lasciati aperti. Sbagliato. Se devi intervenire, intervieni in modo rigido, altrimenti non serve”.

Intanto, in una intervista rilasciata su RaiTre ieri, il perito della Procura, Andrea Crisanti, senatore PD, ha ricordato, citando anche l’Australia e la Nuova Zelanda, che davanti all’emergenza “ci sono Paesi che hanno fatto benissimo”, ma che questo “non vuol dire che chi ha fatto male è colpevole, perché un errore non è colpa e io non ho fatto nessun atto d'accusa nella perizia”. E tuttavia, aggiunge, “dire siamo tutti assolti, va tutto bene, secondo me significa aprire la strada a una situazione di impreparazione la prossima volta”. Insomma, sostiene Crisanti, non bisogna farsi suggestionare e distinguere bene tra responsabilità personali, tra colpa e dolo, ma senza scadere in un’eccessiva accondiscendenza, presi da improvvisi impeti “da amnistia”. Anche perché, conclude “chiudere gli occhi davanti a un disastro significa aprire la strada a un altro disastro”.