RABAT - Shock e indignazione in Marocco dopo che il tribunale ha condannato a due anni di prigione tre pedofili stupratori, oltre a un'ammenda di 50mila dirham, pari a circa 5mila euro. Secondo l'articolo 486 del codice penale marocchino, la pena per lo stupro di un minore di 18 anni è la reclusione da 10 a 20 anni.
La vittima, 11 anni all'epoca dei fatti, dopo essere stata violentata ripetutamente è stata anche minacciata di morte, con tutta la famiglia. Oggi che ha 13 anni e vive in un piccolo villaggio del Nord, Fatima - nome di fantasia - è madre di un bambino che il test del DNA nel corso del processo, ha confermato essere il figlio di uno degli stupratori. I tre uomini sono stati identificati dai media: hanno età compresa tra i 30 e i 40 anni, sono padri di famiglia e uno di loro è vicino di casa della piccola vittima.
La sentenza di condanna dei tre imputati è stata pubblicata il 20 marzo scorso. L'ondata di indignazione che ne è seguita non smette di crescere. Il caso richiama alla memoria la storia di Kadija la ragazza di 17 anni, che nel 2018 fu rapita, segregata e violentata ripetutamente da un gruppo di ragazzi, vicino Casablanca.
Ci sono lettere di sociologi, pubblicate dai principali quotidiani, che denunciano la "normalizzazione di una cultura dello stupro e dell'impunità" da parte del tribunale. Il ministro della Giustizia, Abdellatif Ouabi, impegnato in questi mesi in un enorme lavoro di riforma del codice penale, è stato sommerso dalle critiche e dagli insulti. Nel suo programma vorrebbe depenalizzare le relazioni di convivenza fuori dal matrimonio, per esempio, e anche la rottura del digiuno in pubblico, durante il Ramadan. "È uno scandalo - si legge su Twitter - cominci piuttosto a far applicare la legge".