MODENA - Indagata con l’ipotesi di aver ucciso una degente “pompando” aria nel midline, che altro non è se non un catetere venoso, utilizzando una siringa vuota. Ma quello avvenuto lo scorso 31 maggio potrebbe non essere un episodio singolo e isolato. Per la magistratura, difatti, sono anche altre le morti a questo punto sospette, dato che sempre lei, risulta dalle indagini, avrebbe modificato cartelle cliniche e terapie farmacologiche, evidentemente non per il bene dei diretti interessati. Tutt’altro, si sospetta. Potrebbe dunque essere ancora tutta da definire la vicenda giudiziaria di un’infermiera 49enne che nel capoluogo emiliano è iscritta nel registro degli indagati con ipotesi di reato piuttosto gravi: omicidio volontario pluriaggravato (e c’è anche la premeditazione), falsità materiale e ideologica continuata commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici aggravata, esercizio abusivo della professione medica. Nascono tutte da un singolo episodio, le tre ipotesi d’accusa cristallizzate in un’ordinanza di misura interdittiva di otto mesi emessa dal Gip su richiesta della Procura modenese a carico dell’infermiera.
Bisogna tornare a quel 31 maggio: personale sanitario di una residenza sanitaria assistenziale nota la 49enne mentre “pompa” a più riprese aria nel midline collegato al braccio destro di una degente di 62 anni attraverso una siringa vuota. La donna è affetta da sclerosi laterale amiotrofica, la Sla, in regime di sedazione profonda attraverso cure palliative. Secondo gli inquirenti a causarne la morte sarà proprio l’atto compiuto dall’infermiera (quindi volontario e premeditato), che ovviamente non lavora più nella struttura in questione, la cui sede è nella provincia di Modena. Struttura da dove, di conseguenza, parte una denuncia del responsabile d’area. Nasce in quel momento il caso giudiziario che nei giorni scorsi ha portato la 49enne davanti al Gip per concretizzare l’interdittiva, ovvero la misura cautelare che le terrà lontano almeno per otto mesi da strutture sanitarie in qualunque veste professionale.
A quanto si apprende, una volta davanti al giudice, l’infermiera ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere. Questa però potrebbe essere una decisione presa in attesa che l’avvocato che la difende possa avere accesso agli atti, cosa finora non avvenuta. La Procura coordina i carabinieri e il Nas di Parma verso un accurato approfondimento relativo alle attività svolte dalla 49enne nelle Rsa dove lavorava precedentemente (sarebbero più d’una). In questo caso siamo negli anni del Covid, cioè tra il 2020 e il 2021, ma ciò potrebbe voler dire tutto e niente; non è dato sapersi al momento. In ogni caso, qualcosa dalle indagini emerge subito ed è ipotesi grave, secondo il Codice penale: l’infermiera, già indagata per omicidio volontario pluriaggravato, avrebbe alterato cartelle cliniche e prescrizioni farmacologiche dei pazienti della struttura in questione. Come avrebbe fatto? Avrebbe avuto accesso al sistema informatico attraverso le credenziali del medico.