Per il terzo anno consecutivo la calda estate del mese di gennaio non è l’unica possibile causa di insolazione e mal di testa per il primo ministro Scott Morrison.
Un triennio di crisi di gennaio iniziato con i devastanti incendi della ‘Black Summer’ 2019-2020, poi l’arrivo del Covid-19 in Australia, la lenta e pasticciata partenza della campagna vaccinale e infine, questo avvio di 2022 contrassegnato dalla devastante ondata di casi della variante Omicron (articolo a pagina 3).
Numeri mai visti e probabilmente mai immaginati all’interno della ‘fortezza Australia’ ma assolutamente prevedibili, considerato quanto stava accadendo nel resto del mondo.
Tuttavia, grazie alla ridotta pericolosità, in termini di letalità, di questa nuova variante e alla copertura vaccinale che in Australia ha raggiunto quota 95% di prime dosi somministrate e 92.5% di popolazione sopra i 16 anni completamente vaccinata (ultimo dato pubblicato ieri, domenica 15 gennaio), almeno dal punto di vista dell’emergenza pandemia sembrerebbe che il primo ministro possa iniziare a tirare un respiro di sollievo.
Ma anche la curva dei contagi sembra essere vicina al suo punto massimo, da cui ci si attende un calo, la pandemia non è finita e l’esperienza di questi ultimi due anni ci ha insegnato che i passi falsi sono sempre dietro l’angolo. Tra l’altro in un anno di elezioni non è che ci si possa rilassare troppo, anzi, questi sono proprio i mesi cruciali per accumulare o perdere consensi, e non è detto che si possa poi avere modo e tempo di rimediare a eventuali problemi. Con la vicenda Djokovic che in queste ore sta riempiendo le cronache dei giornali e dei telegiornali di tutto il mondo, i riflettori sul primo ministro sono più accesi che mai e i margini per sbagliare diventano, inevitabilmente, molto più ridotti.
Gli errori in questo triennio non sono mancati, basti pensare, solo per citare quelli più eclatanti, alla gestione delle accuse di Brittany Higgins, a quanto accaduto con l’ex responsabile della Giustizia, Christian Porter e alle tensioni diplomatiche con Macron in seguito all’annuncio dell’accordo AUKUS e la conseguente cancellazione del contratto con la Francia per la costruzione dei sommergibili, per non parlare della sempre incombente questione delle complesse relazioni con la Cina.
Ma, parlando del tema caldo di questi due anni, su cui inevitabilmente Morrison si giocherà parte della sua eventuale riconferma, ad onor del vero non può non essergli riconosciuta una buona dose di realismo in una delle fasi forse più critiche a livello nazionale, quando le misure restrittive hanno praticamente fermato la parte più produttiva del Paese e, superando steccati ideologici, il primo ministro e il Tesoriere Josh Frydenberg hanno deciso di agire per garantire un supporto immediato a tutti gli australiani.
Quell’episodio, ma anche le devastanti inondazioni del nord del Queensland, gli incendi dell’estate nera, l’accordo AUKUS, il piano di evacuazione dall’Afghanistan, sono stati per Scott Morrison i momenti più complicati, come ha ammesso lui stesso nel corso di un’intervista esclusiva rilasciata al Saturday Age.
“Jobkeeper è stato molto più che un semplice sostegno economico, per il governo federale è stato come dire ai nostri concittadini che ‘tutto andrà bene, non dovrete preoccuparvi di domani, perché domani andrà tutto bene. Potrete mettere il cibo sulla vostra tavola, pagare l’affitto della vostra attività, lo copriremo finché non avremo risolto tutto.’ E questo era davvero importante”, ha detto il primo ministro.
Respinge al mittente poi le accuse di essere stato troppo lento nella gestione della campagna di vaccinazione: “Non c’era nessun calendario stabilito che prevedeva che avremmo dovuto vaccinare l’80% della popolazione entro giugno. L’idea che non ci sarebbero stati lockdown, che non sarebbe accaduto tutto quello che poi è accaduto, è pura fantasia - ha precisato il primo ministro -. Ogni piano avrà le sue battute d’arresto. Ci sono state ma le abbiamo superate, abbiamo lavorato senza sosta per garantire quante più scorte possibili di vaccino”.
Un passaggio anche sul Consiglio intergovernativo, momento di confronto collettivo con Stati e Territori che, prendendo il posto del COAG, nell’idea originaria avrebbe dovuto garantire un migliore coordinamento nella risposta all’emergenza ma che, nei fatti, ha fatto invece emergere tutte le debolezze del sistema federale, con gli Stati alle prese con
scelte contrastanti l’uno dall’altro. Scelte rispetto alle quali il primo ministro si è trovato praticamente impossibilitato a intervenire se non per quanto di sua competenza, ovvero aprire le casse del Tesoro e garantire i necessari supporti economici agli Stati e, soprattutto, ai cittadini.
“Sono il primo ministro di una federazione, non siamo una repubblica con un sistema presidenziale”, ha ribadito Morrison convinto che un eventuale referendum che consentisse al governo federale di intervenire su questioni di pertinenza degli Stati e dei Territori, sarebbe un fallimento.
E chissà su questo punto cosa ne pensano i promotori dell’ennesima iniziativa a favore del sistema repubblicano (articolo a pagina 11).