MELBOURNE – “Quando sono arrivata alla scuola elementare St Gregory the Great in qualità di nuova preside, gli studenti partecipavano a una lezione settimanale di italiano di quaranta minuti, ma, avendo fatto molta ricerca nell’area linguistica, sapevo che questo non era il modo migliore”.

Così, Michelle Verna, preside da sette anni della St Gregory the Great, di Doncaster, nel raccontare il percorso intrapreso dalla scuola primaria per passare dal classico approccio, che prevede di insegnare la lingua durante una lezione settimanale, al metodo ‘Teachers as Co-Learners’ – TCL –, che prevede che l’insegnante in classe allochi quotidianamente del tempo alla lingua, che impara insieme agli alunni.

“Quando arrivi in un ambiente nuovo però – ha proseguito Verna – non puoi essere irrispettoso verso gli insegnanti, che stanno facendo il proprio lavoro al meglio delle loro possibilità. Per cambiare la cultura nella comunità scolastica, ho capito che avrei dovuto lavorare con i docenti, educarli rispetto a quelle che sono le buone pratiche per l’insegnamento delle lingue”.

E così la preside, insieme ai colleghi, ha cominciato un percorso di confronto e crescita, guardando alle ricerche, alle azioni necessarie per coinvolgere al massimo gli studenti e a come raggiungere l’obiettivo di far apprendere ai ragazzi una seconda lingua.

“Circa tre anni fa sono stata invitata dalla MACS – Melbourne Archdiocese Catholic Schools – per far parte del programma TCL, di cui avevo sentito parlare, ma non conoscevo nel dettaglio. Al tempo, a scuola stavamo cercando di cambiare approccio e, con Renee Scarmozzino, che in quel momento era la nostra insegnante di italiano, abbiamo chiesto alla comunità scolastica se volesse mantenere l’insegnamento dell’italiano. Una volta ricevuta risposta positiva, abbiamo creato un gruppo di lavoro dedicato alle lingue”.

Quel gruppo, con il tempo, è cresciuto includendo altri insegnanti, alcuni di origini italiane, altri senza alcuna conoscenza della lingua, la cui esperienza ha aiutato a immedesimarsi con gli studenti senza competenza linguistica.

L’inizio è stato, come è ovvio, abbastanza lento: venivano proposti dei video, alcune parole venivano accompagnate dai gesti e poi, a poco a poco “ci siamo accorti che gli alunni non solo erano interessati a imparare la lingua, ma volevano comunicare”, ha fatto notare la preside.

La realizzazione di quanto fosse potente questo metodo ha convinto anche gli insegnanti più scettici, tanto che alla scuola l’italiano ha cominciato a essere incorporato nella quotidianità, non solo nelle classi, ma anche, ad esempio, quando vengono fatti gli annunci al microfono. 

“È stato un processo interessante, perché i colleghi mi dicevano spesso di essere preoccupati di fare degli errori. Ma io ripetevo loro che era importante che facessero degli errori, perché, in questo modo, i bambini potevano capire che era normale commetterli”.

Dopo che Renee Scarmozzino ha espresso il desiderio di rientrare in classe come insegnante, la preside Verna ha cominciato a valutare l’opzione di cercare un assistente di lingua italiana, e il destino ha voluto che, proprio in quei giorni, Drusilla Galelli avesse inviato la sua candidatura per una posizione di Learning Support Officer. “Una milanese che aveva vissuto all’estero per moltissimi anni, con cui l’intesa è stata immediata”, ha ricordato Verna.

Con il coinvolgimento di Galelli e di Cathy O’Brien, la Director of Learning and Teaching, si è arrivati alla configurazione attuale, che prevede che gli insegnanti dedichino almeno quindici minuti al giorno all’italiano.

Possono esercitarsi con le parole nuove e nuove frasi, “grazie anche al supporto di Renee che mette a loro disposizione le presentazioni e il materiale necessario, per agevolare gli insegnanti e non caricarli di altro lavoro”, come ha sottolineato O’Brien. 

Inoltre, in occasione delle riunioni del personale scolastico, si dedicano sempre almeno dieci minuti alla pratica del TCL: per ripassare la pronuncia di alcune parole e parlare di quali canzoni o giochi proporre in classe per coinvolgere i ragazzi.

Se, inizialmente, le parole erano accompagnate dai gesti, con il tempo e con ricerche specifiche si è capito che il movimento delle mani, anziché aiutare l’apprendimento, lo rendeva più complicato.

“Abbiamo quindi definito una regola per cui tutti i bambini, dall’Anno Prep all’Anno 6, debbano concentrarsi settimanalmente su un numero che varia tra le cinque e le otto parole o frasi”, ha chiarito Renee Scarmozzino.

Attraverso la pratica giornaliera e l’utilizzo di piccoli giochi e attività, i bambini sono in grado di ricordare e di comunicare correttamente in italiano.

“È bello vedere che ogni insegnante dedica del tempo all’italiano”, ha sottolineato Drusilla Galelli, che aiuta i colleghi, tra le altre cose, anche con la pronuncia, che rappresenta uno scoglio per molti di loro.

Gli studenti sono così abituati a sentire ripetere certe frasi, che le usano spontaneamente in classe o anche fra di loro. Questo denota l’importanza per gli alunni di capire che l’italiano è uno strumento di comunicazione e non semplicemente qualcosa di legato alla cucina, ai festival o a una bandiera.

Diventa rilevante perché “ha uno scopo”, fa notare Scarmozzino. Il successo dell’approccio di questo gruppo di insegnanti appassionati è sicuramente testimoniato dall’entusiasmo dei ragazzi, talmente contagioso, che ora anche le famiglie vorrebbero avvicinarsi allo studio della lingua e della cultura italiana.