Non si è mai guardata indietro, fulgido esempio di una pioniera che ha ascoltato il proprio cuore e ha perseguito senza paura le proprie passioni più recondite. E per sua stessa ammissione, è sempre stata una bambina insolita.

“All’età di cinque anni, aprivo le castagne solo per osservare se ci fossero insetti all’interno. Sì, ero una bambina strana e credo di essere anche un adulto un po’ strambo!”.

Da sempre profondamente legata alla natura e agli animali, Paola Magni è oggi un’esperta di fama internazionale in biologia forense e tra le maggiori divulgatrici di scienza al mondo, sviluppatrice di app, speaker TEDx, docente e ricercatrice. Dal Civico Obitorio di Torino, dove ha mosso i suoi primi passi, al Forensic Anthropology Center negli Stati Uniti – conosciuto come ‘la fattoria dei corpi’, o meglio body farm, dal romanzo di Patricia Cornwell –, per arrivare fino in Australia e continuare a rivoluzionare il suo cammino.

Direttamente dalla sua abitazione a Perth, nei nostri sessanta minuti di conversazione in videochiamata, Magni è un vortice trascinante di informazioni, nozioni, opinioni. E mentre imbocca sua figlia Zelda di nove mesi, che sbuca dallo schermo e mi mostra il suo sguardo vispo, è chiaro fin da subito che ai suoi giorni non pone mai limiti.

Originaria di Torino, di padre piemontese e madre calabrese, Magni non ricorda un giorno in cui non si sia stupita davanti ai meccanismi della biologia e alle meraviglie della natura; gli studi universitari in Scienze Naturali erano per lei quasi una scelta obbligata, “perché se si osserva una pianta, il biologo guarda il tronco e le foglie, il geologo guarda la terra; il naturalista, invece, guarda la terra, il vaso, il tronco, le foglie, l’aria attorno e forse pure le persone che osservano la pianta”, racconta la scienziata.

Era l’effetto che la natura ha sull’uomo e l’uomo sulla natura ad attrarla; una visione globale che le risultava ineluttabile.

“Forse è vero ciò che dicono: desideri sempre ciò che non puoi avere. Abitavamo in un appartamento al quarto piano, ero figlia unica e i miei genitori non volevano animali domestici in casa. Il mio sogno più grande? Avere un gatto o un cane! – continua, tentando di ricordare quando sia sbocciato il legame indissolubile con la terra –. Da bambina, aprivo la bambola ‘Bebi Mia’ per farle l’autopsia, quando andavo al mare, raccoglievo pietre vetrate e conchiglie, se mi portavano a passeggiare in montagna, mi fermavo a osservare le ossa degli animali lungo il cammino. Il momento che mi ha davvero segnata è stato quando alle elementari trovai, in un giornale da ritagliare in classe, la pubblicità del World Wildlife Fund (WWF) che recitava, ‘Vuoi farne parte anche tu?’. A me vennero le palpitazioni! Portai a casa quella pagina e chiesi aiuto a mio padre per l’iscrizione. Cominciai a ricevere la loro rivista mensile, Panda Junior, e a me sembrava un sogno. Era il mio sogno”.

Durante gli anni di studio in quella “tipica università italiana, con programmi obsoleti, in cui si studiano concetti teorici e si eseguono pochi esercizi pratici”, Paola Magni ha sempre cercato di inseguire nuove opportunità, dalle borse di studio agli scambi all’estero. E quando era arrivato il momento di dedicarsi alla ricerca, si è ritrovata nel remoto Kazakistan dove ha messo in discussione il suo intero percorso.

“Ho trascorso sei mesi nella regione, facendo ricerche su rettili e anfibi. Sì, era scienza ed era interessante, ma non ero felice. Continuavo a chiedermi, ‘Qual è il punto? Per chi sto lavorando? Sto davvero aiutando qualcuno?’. Desideravo ardentemente fare qualcosa di rilevante che potesse cambiare la vita di qualcuno, qualcosa che potesse davvero aiutare le persone”, continua.

Al rientro in Italia, stanca di corsi non adatti ai suoi interessi, si è iscritta, quasi per puro caso, a un’unità di Entomologia, per lo studio degli insetti. Alla prima lezione, sembrava che la sua strada stesse prendendo finalmente forma.

“Il docente ci disse, ‘Alcune persone studiano insetti bellissimi, come le farfalle, altri studiano gli insetti dannosi, che possono provocare malattie, altri ancora studiano quelli utili, come gli impollinatori. Tuttavia, negli ultimi anni, alcuni hanno cominciato a studiare gli insetti sulle scene del crimine – racconta con entusiasmo –; quello è stato il mio momento eureka, mi sono illuminata”.

Esattamente quello che stava cercando: un modo per applicare la conoscenza e la ricerca del mondo naturale e contribuire in modo determinante al beneficio della società.

In quei giorni, però, pochi erano a conoscenza dell’esistenza della scienza forense e, in effetti, la medicina legale non rientrava nelle offerte formative delle università italiane, piuttosto nelle accademie di polizia.

Paola Magni a lavoro durante un sopralluogo per un’investigazione criminale

“Il mio professore di Entomologia mi disse, ‘Se trovi qualcuno che ti faccia da correlatore, firmo la tua tesi’. E io adoro le sfide – racconta, ridendo –. Ho interpellato l’allora direttore dell’Asl di Torino, l’ente che in Piemonte gestiva i casi forensi, che mi ha concesso la possibilità di dare inizio al mio percorso. Il mio numero è stato aggiunto alla lista dei medici legali da chiamare in caso di un corpo in stato di decomposizione. Non avevo paura, nessun animale mi fa impressione, era piuttosto il timore di trovarmi di fronte a una situazione psicologicamente difficile, poiché le analisi si svolgono per lo più su esseri umani rinvenuti cadavere. Quando poi mi ci sono trovata, mi sono focalizzata unicamente sull’evidenza scientifica del caso. E da lì, è iniziato tutto”.

Proprio con la benedizione di Stefano Jourdan, direttore di Medicina legale dell’Asl TO1, Magni ha aperto il primo e unico laboratorio di Entomologia forense collegato al Servizio sanitario nazionale – che oggi, causa spending review, fa le ragnatele –, la sua tesi di laurea è diventata un libro, Entomologia Forense: gli insetti nelle indagini giudiziarie e medico-legali, ancora oggi punto di riferimento per la scienza, e viene identificata come ispirazione e consulente per il personaggio di Flavia Ayroldi, la tenente dell’Arma nella serie televisiva RIS – Delitti imperfetti, basata sulla già celebre CSI: Crime Scene Investigation.

Paola Magni durante il suo discorso al FameLab 2019

“Il problema più grande, però, era la sopravvivenza, perché quando lavori per la Procura della Repubblica, devi sottostare alle spese di giustizia – spiega –. Prima di tutto, non sai mai quando lavorerai, poi le spese vanno sempre coperte in anticipo e le tempistiche per il rimborso e il pagamento sono ancora oggi un’incognita”.

Nel 2013, l’esperta internazionale ha quindi deciso di volare via, in un battito d’ali, lasciando la sua città d’origine per trasferirsi a Perth e intraprendere il suo nuovo cammino presso la Murdoch University, come docente di Scienza forense e poi come vicepreside di Murdoch Singapore.

Il Western Australia le ha offerto quello che nessun ateneo d’Italia aveva saputo garantirle e, dopo l’approvazione di sua madre, che le ha coraggiosamente sussurrato “ti ho dato le ali per volare, le radici per restare e per tornare”, Paola Magni è partita e non si è più guardata indietro.

Oggi continua il suo lavoro sulle scene del crimine, ma la scienziata sta provando con forza a “sviluppare una forma mentis differente nei suoi studenti” e dar vita a programmi specifici per persone con disabilità.

Vuole che l’immagine comune degli alunni vestiti di blu che raspano la terra scompaia presto, per dare spazio a una professione che sia sempre più inclusiva.

“Sto cercando di incrementare funzionalità di lavoro da remoto per coloro che non hanno la possibilità di muoversi con facilità – spiega Magni –. La nuova generazione deve avere una mentalità più globale, pensare che il crimine può succedere ovunque e può arrivare in forme sempre differenti. Ho un studente che ha la possibilità di usufruire di una borsa di studio in Svizzera, ma pensa che ‘l’Europa sia troppo lontana’. Non possiamo pensare sempre di trovare il lavoro dietro casa, considerando anche che in Australia il tasso del crimine è molto più basso rispetto al resto del mondo”.

La sua carriera brillante l’ha guidata di recente al FameLab 2019, il primo talent internazionale della scienza, dove ha stretto il primo premio e, lo scorso mese, è stata inserita nella prestigiosa WA Women’s Hall of Fame. “If you can’t find a role model, become one”, ripete spesso, e per Magni sembra che la strada vada sempre più in alto.

“In Italia, era un problema anche essere una scienziata ‘carina’. Ho dovuto far pace con me stessa da quel punto di vista. Montalcini diceva, ‘Una donna non deve dimostrare nulla, a parte la sua intelligenza’, però siamo pur sempre animali visivi e la nostra immagine fa pensare. Non mi stupisco se continuiamo ad assistere ai soliti stereotipi televisivi della donna sensuale e intelligente che si affianca all’investigatore burbero e arrabbiato – continua Magni –. Qui mi sento apprezzata, ogni riconoscimento è sempre un punto di partenza, un stimolo a fare di più. Ogni volta mi ripeto che ci sono riuscita arrivando da sola in Australia, con un inglese scolastico e senza alcun supporto. Possiamo farcela, smettiamola di porci limiti”.