TEL AVIV - Il premier Yair Lapid si è congratulato con Benjamin Netanyahu per la vittoria alle elezioni. Secondo il conteggio finale annunciato dalla Commissione elettorale nazionale, il blocco guidato dall’ex primo ministro controlla 64 dei 120 seggi della Knesset; con 32 seggi per il Likud, 18 per i partiti ultraortodossi e 14 per un’alleanza di estrema destra, come ha reso noto la Commissione. 

Il blocco del primo ministro uscente Lapid, centrista, ha invece ottenuto 51 seggi. Lo stesso Lapid ha detto a Netanyahu di aver dato istruzioni a tutti i ministeri per il trasferimento ordinato dei poteri. “Lo Stato di Israele è al di sopra di ogni considerazione politica. Auguro a Netanyahu fortuna per il bene del popolo e dello Stato di Israele”.    

Ora Netanyahu stringe i tempi, sentendosi partner della coalizione di destra ed estrema destra e preparandosi a tornare al potere. Non più tardi della fine della settimana prossima dovrebbe avere l’incarico formale da parte del presidente Isaac Herzog al termine del giro di consultazioni del capo dello Stato con i partiti.

Quella che sulla carta appare una solida stabilità politica - costata ben cinque elezioni in poco più di tre anni - ha tuttavia un punto delicato: la partecipazione al governo Netanyahu del controverso leader della destra radicale Ben Gvir, forte di ben 14 seggi. Un pivot politico sul quale gli USA e i Paesi del Golfo hanno acceso da subito un faro di attenzione vista la sua ideologia. 

Gli Emirati Arabi hanno fatto capire a Netanyahu i loro timori sulle ricadute per gli Accordi di Abramo. E il governo Tory britannico di Rishi Sunak non è stato da meno, facendo sua la richiesta USA al nuovo esecutivo israeliano di rispettare “i diritti delle minoranze”.

Un segnale chiaro a Netanyahu e soprattutto al suo alleato Ben Gvir, di cui sono note il rigetto della soluzione a due Stati, la volontà di annettere la Cisgiordania (per di più senza diritti per i palestinesi), la messa all’indice degli arabi israeliani ritenuti “sleali” e la dichiarata intenzione di autorizzare le preghiere ebraiche sul Monte del Tempio a Gerusalemme (la Spianata delle Moschee) in violazione dello status quo.   

Proprio in Cisgiordania, presso il campo profughi di Jenin, altri due miliziani palestinesi sono stati uccisi durante uno scontro a fuoco nel corso di un’operazione dell’Esercito israeliano. Il ministero della Sanità locale, citato dall’agenzia Wafa, ha identificato uno dei due in Farouk Jamil Hassan Salama (28), morto in ospedale per le ferite riportate. Con quello di Jenin è arrivato a quattro il numero dei palestinesi uccisi nel giro di poche ore nel corso di attacchi.