TEL AVIV - Gli israeliani speravano che “con i nuovi e sofisticati attacchi agli strumenti di comunicazione di Hezbollah e con l’eliminazione di diversi uomini chiave del suo braccio armato, il gruppo si sarebbe convinto a ritirarsi dal confine tra Israele e Libano”, ha scritto Patrick Kingsley del New York Times, lasciando chiaramente intendere che il ‘calcolo’ ancora una volta si è rivelato sbagliato. 

Nonostante gli appelli internazionali rilanciati anche in vista della 79ma Unga di New York, Tel-Aviv e i militanti di Hezbollah hanno infatti intensificato i loro attacchi oltre confine. Il passo indietro, osservano numerosi analisti, per ora è lontano anche se, a parole, le due parti sostengono ugualmente di non volere dare il via a una pericolosa escalation militare nella regione. “Israele non vuole una guerra su larga scala”, ha ripetuto a più riprese lo stesso premier Benjamin Netanyahu ribadendo tuttavia la “necessità vitale” di proteggere il suo popolo e riportare la sicurezza anche nel nord del Paese. 

La nuova ondata di attacchi “diffusi” lanciati dall’Idf contro obiettivi di Hezbollah in Libano sono, affermano fonti di governo citate dai media israeliani, “risposte agli attacchi incessanti e su larga scala” che da oltre un anno Hezbollah mette a segno contro centri abitati israeliani. 

Tel Aviv constata peraltro che gli ultimi raid dei militanti libanesi filoiraniani hanno visto utilizzare razzi a gittata più lunga e anche questo è sintomo di una guerra entrata in una nuova fase: oggi a rischio, secondo la stessa fonte, c’è la vita di quasi mezzo milione di israeliani, ben oltre le centinaia che si trovavano nelle zone di confine e che sono già state fatte evacuare. 

L’Idf ha sempre difeso la natura puramente difensiva della sua guerra in risposta all’eccidio del 7 ottobre dell’anno scorso. Lo scopo, ribadisce, è quello di annientare definitivamente i militanti filoiraniani di hezbollah che “tengono in ostaggio” sia i palestinesi che i cittadini libanesi e che sono l’unica vera minaccia alla stabilità dell’intera regione. Chi tira i fili, tuttavia, è Teheran, uno Stato che, per Israele, non minaccia solo il Medio Oriente ma tutta l’Europa e la sicurezza globale. 

Steven Cook, analista senior e docente di studi sul Medio Oriente e l’Africa al Council on Foreign Relations in un dibattito organizzato dal think tank sull’eventualità di una guerra più ampia nella regione alla luce delle promesse iraniane di vendetta ha assicurato che “Hezbollah non è popolare in Libano” e che “molti libanesi, non vogliono la guerra e non vogliono neppure che Hezbollah li trascini in guerra”. 

Evitare l’escalation, trovare un accordo, portare a casa gli ostaggi sono priorità anche per buona parte degli israeliani. La parola, nei prossimi giorni, passerà alla comunità internazionale e all’Onu cui Israele chiede l’immediata attuazione della risoluzione 1701 e la fine della presenza armata di Hezbollah nel Libano meridionale.