TEL AVIV - Alta tensione in Israele, nel giorno in cui il governo è chiamato a votare il licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar. L’annunciata cacciata del capo dell’intelligence interna – unita alla ripresa della guerra a Gaza con le conseguenze che questo comporta per gli ostaggi ancora prigionieri nella Striscia – ha portato a forti proteste di piazza, culminate in scontri.  

Centinaia di persone hanno marciato fino alla residenza del premier Benjamin Netanyahu a Gerusalemme e hanno provato a sfondare le barricate installate intorno all’abitazione. La polizia ha reagito con forza, usando manganelli e cannoni ad acqua.  

Nei tafferugli è rimasto coinvolto anche il leader del partito di opposizione di sinistra I Democratici, Yair Golan, che è stato spinto via con forza da un agente e poi buttato a terra, mentre cercava di aiutare un altro manifestante colpito. Il video ha fatto il giro dei social, provocando la reazione degli altri leader dell’opposizione, a cominciare da Yair Lapid, che ha “condannato fermamente” la violenza delle forze dell’ordine. 

L’ex vicecapo di Stato maggiore e leader del partito di opposizione “non può essere ferito mentre manifesta per la democrazia israeliana”, ha denunciato il capo del partito centrista Yesh Atid, chiedendo al commissario di polizia Daniel Levy di “ordinare un’indagine immediata sull’incidente”.  

Anche Benny Gantz si è fatto sentire: il leader di Unità nazionale ha accusato il governo di incitamento alla violenza. “Quello che abbiamo visto negli ultimi giorni non è nato dal nulla. Tutto questo è il risultato diretto di un governo estremista che ha perso la calma ed è impegnato ad ampliare la divisione tra le persone invece di promuovere l’unità. Fermatevi prima che accada un disastro”, ha affermato su X.  

Golan ha poi postato un messaggio su X, rassicurando sulle sue condizioni – “Dopo 38 anni nelle Idf (Forze di difesa israeliane), qualche spinta non fermerà né me né voi” – e promettendo di non “mollare” nel guidare la “lotta determinata” per fermare la riforma della giustizia, riportare a casa gli ostaggi e “sostituire il governo”. 

A organizzare la marcia fino alla residenza di Netanyahu, sotto la pioggia, è stato un gruppo di accademici, tra cui il presidente dell’Università di Tel Aviv, Ariel Porat, e il capo dell’Ordine degli avvocati Amit Becher. Anche l’ex ministro della Difesa Moshe Ya’alon, noto oppositore di Netanyahu dopo aver preso parte al suo governo fino al 2016, ha partecipato alla protesta.  

È il secondo giorno che i manifestanti assediano la residenza del premier: ieri migliaia di persone hanno marciato fino alla sua abitazione e almeno 12 di loro sono stati arrestati per violazione dell’ordine pubblico, dopo gli scontri scoppiati mentre cercavano di bloccare il traffico. Anche in quell’occasione, i Democratici hanno denunciato l’aggressione contrio un loro deputato, Gilad Kariv, spintonato malamente più volte da un agente, mentre partecipava alla protesta. 

 Al timore per la sorte degli ostaggi, il cui destino è fortemente a rischio dopo la decisione del premier martedì di rompere la tregua e riprendere la guerra nella Striscia, si è unita la rabbia per l’intenzione di Netanyahu di cacciare Bar, un unicum nella storia d’Israele, dove non è mai successo che il capo dello Shin Bet venisse sollevato dall’incarico. 

Per stasera alle 21.30 è stata convocata una riunione del governo per votare sulla questione: una bozza di risoluzione circolata ieri indicava come termine dell’incarico il 20 aprile. La questione degli ostaggi, anch’essa prevista nell’agenda dell’incontro dei ministri, è stata invece posticipata, provocando l’ira del Forum dei familiari dei rapiti.  

Contro la cacciata di Bar si è espressa il procuratore generale, Gali Baharav-Miara, avvertendo che l’esecutivo non può licenziare il capo dello Shin Bet senza la raccomandazione preventiva del Comitato consultivo per le nomine a posizioni di alto livello. Ma il governo ha già fatto sapere di ritenere di poter procedere, rivendicando la sua autorità in merito, che annulla qualsiasi decisione precedente.  

Netanyahu ha motivato l’iniziativa con la “crescente mancanza di fiducia” tra lui e Bar, ma per l’opposizione la decisione è legata all’inchiesta avviata di recente dall’agenzia d’intelligence interna sul Qatargate, lo scandalo su presunti pagamenti di Doha verso assistenti dello stesso Netanyahu. Ieri sera due persone sono state arrestate nell’ambito dell’inchiesta e il premier ha reagito con un durissimo attacco alla magistratura, accusando “il Deep State di sinistra di utilizzare il sistema giudiziario come arma per contrastare la volontà popolare”. 

Parole che hanno provocato l’immediata reazione non solo dell’opposizione, ma anche del capo dello Stato, Isaac Herzog, che si è affrettato a twittare il suo “orgoglio” per un “sistema giudiziario forte e indipendente”, ritenuto “una risorsa per la democrazia” israeliana.  

Nominato dal precedente governo, i rapporti tra Bar e Netanyahu non sono mai stati idilliaci: tra le maggiori frizioni, l’allarme lanciato dal capo dello Shin Bet, nel 2023, sul rischio posto dalle tensioni interne al Paese, provocate dalla controversa riforma della giustizia promossa dal governo. 

A peggiorare la situazione tra i due, il rapporto interno dello Shin Bet sul massacro di Hamas del 7 ottobre, pubblicato lo scorso 4 marzo, nel quale l’agenzia ha riconosciuto il proprio fallimento nel prevenire l’attacco, ma ha anche puntato il dito contro la politica del premier, che ha permesso al gruppo palestinese di attuare “un massiccio rafforzamento militare”. Per Bar, la decisione di licenziarlo deriva dal suo rifiuto di soddisfare le richieste di “lealtà personale” di Netanyahu, “un’aspettativa illegittima” che va in contraddizione con il suo mandato nei confronti dello Stato d’Israele e dell’interesse pubblico. 

Intanto, in questo clima pesantemente avvelenato, la polizia ha interrogato l’ex capo dello Shin Bet, Nadav Argaman, dopo che il premier ha sporto denuncia nei suoi confronti, accusandolo di ricatto per aver minacciato di rivelare informazioni compromettenti sul suo conto durante un’intervista televisiva a Channel 12.

“È abbastanza chiaro che ho una grande quantità di informazioni, che posso mettere a frutto... ma al momento sto tenendo tutto ciò che è accaduto tra me e il primo ministro” fuori dalla sfera pubblica, aveva affermato una settimana fa l’ex numero uno dell’intelligence interna (dal 2016 al 2021). Per poi avvertire: “Se concludo che il primo ministro ha deciso di agire in contraddizione con la legge, allora non avrò scelta e dirò tutto ciò che so e che mi sono astenuto dal dire fino a oggi”.