ANKARA - Dalla normalizzazione a una possibile guerra in meno di un anno. Si può riassumere così la caduta dei rapporti tra Turchia e Israele, una spirale apparentemente senza fine che segue l’inasprirsi dei rapporti tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier israeliano Benjamin Netanyahu.  

“La minaccia si avvicina e noi siamo pronti ad affrontarla”, ha detto Erdogan, ribadendo un concetto ripetuto più volte espresso negli ultimi giorni per serrare i ranghi della Turchia, da sempre nazionalista e filopalestinese. Eppure, Netanyahu aveva avuto un bilaterale con il leader turco a New York il 20 settembre 2023, pochi giorni prima del 7 ottobre. Incontro che era stato il coronamento di un lento processo di riavvicinamento tra due Paesi, che proprio per la Palestina, non si erano parlati per anni.  

L’attacco di Hamas ha visto Erdogan reagire in maniera inizialmente cauta. Il recente riavvicinamento e i buoni rapporti con il gruppo palestinese avevano illuso il presidente turco di poter giocare un ruolo in una possibile mediazione. Al contrario i bombardamenti sulla popolazione civile hanno inasprito la retorica di Erdogan, presidente di un Paese fortemente filopalestinese. Erdogan ha così in una prima lunga fase ripetuto l’accostamento tra Netanyahu e il ‘fuhrer’ Adolf Hitler.  

I continui paragoni tra il governo israeliano e il terzo Reich, tra la violenza dei bombardamenti su Gaza e la furia nazista sono andati avanti per mesi. Allo stesso tempo, mettendosi contro buona parte della comunità internazionale e tutta la Nato, il leader turco ha sviluppato un secondo mantra: “Hamas è un gruppo di resistenza, non un’organizzazione terroristica”. Parole cui però non seguivano fatti e azioni che l’opinione pubblica chiedeva a Erdogan.  

Dopo la sconfitta nelle amministrative di fine marzo il governo turco ha cambiato registro, prima ha bloccato l’export di alcuni prodotti, poi ha applicato sanzioni al fine di azzerare il commercio con lo Stato ebraico. La Turchia si è inoltre unita al Sudafrica nella causa per genocidio contro Israele e i rapporti con Hamas sono andati avanti serrati.  

L’attacco israeliano al Libano, le minacce all’Iran, la mappa mostrata da Netanyahu all’Onu e in ultimo i colpi inferti al contingente Unifil, hanno però spinto Erdogan verso una nuova strategia e verso una nuova retorica. È per il leader turco ora chiaro che Israele punta a espandersi in Medio Oriente e “ha già messo gli occhi sull’Anatolia”. Un allarme cui l’esercito di Ankara, il secondo nella Nato, ha risposto presente. Il capo dell’esercito ha dichiarato che i militari turchi “sono pronti ad affrontare qualsiasi minaccia”. A nulla sono servite le rassicurazioni del presidente israeliano Isaac Herzog.  

A oggi le parole degli israeliani per Erdogan non contano e incurante del messaggio giunto da Tel Aviv il leader turco ha garantito che l’intelligence sta monitorando “dalla A alla Z azioni e intenzioni di Israele” e rassicurato il Paese con un perentorio “il nostro piano è pronto”. Erdogan anche oggi ha ribadito che “la minaccia si avvicina” e che “tutte le misure sono state prese”, la Turchia è pronta ad affrontate “in maniera compatta ogni eventualità”.