Mai come in quella occasione, si era alla semifinale, gli azzurri persero la bussola in cabina di regia e di conseguenza il dominio del gioco. Luis Enrique, il dirimpettaio, aveva preparata bene la sfida schierando una squadra senza punte per aumentare in quantità e qualità la forza in mezzo al campo. Particolarmente azzeccata la marcatura a uomo su Jorginho e Verratti. Ma la coperta era corta. E solo l’innesto di Morata permise agli iberici, in svantaggio per la prodezza di Chiesa, di chiudere in parità i tempi regolamentari e supplementari. Salvo poi perdere ai rigori in seguito a un errore decisivo dell’attaccante juventino. La Nations League propone il remake. E il tecnico spagnolo, che ebbe poca fortuna alla guida della Roma, s’è travestito da Cassandra per esorcizzare il pericolo azzurro: “Prima o poi dovrete pur perdere”, ha detto riferendosi alla striscia di 37 partite utili consecutive della nostra nazionale, fra l’altro imbattuta a Milano da ben 93 anni, ma impantanatasi sul pari negli ultimi 5 incroci a San Siro. Immediata la risposta di Gravina, presidente della Federcalcio: “Un giorno cadremo, ma non contro di voi”. Ancora poche ore, e poi sapremo chi affronterà domenica in finale la vincete dell’altra semifinale Belgio-Francia, in calendario domani sera a Torino.

C’è da capirlo, Luis Enrique. Gli mancano 7 importanti giocatori, quasi tutti titolari: Morata, Gerard Moreno, Pedri, Jordi Alba, Marcos Llorente, Gayà e Dani Olmo. Fra i convocati due giovanotti di grandi speranze, il 17enne Gavi, che solo un mese fa ha esordito con il Barcellona nella Liga, e il 19enne Yeremi Pino del Villareal. Curioso che non abbia convocato Fabian Ruiz e Brahim Diaz, protagonisti nel nostro campionato con le maglie di Napoli e Milan. Un autogol. Mancandogli Morata e Moreno, riproporrà una formazione senza punte per ingolfare il centrocampo e tessere una ragnatela attorno ai nostri registi. Se chiedete al ct quale assenza gli pesa maggiormente, lui vi risponderà “quella di Pedri”, ovvero del giocatore che a Londra pedinò Jorginho e si tolse anche il lusso di improvvise incursioni.

Da parte sua Mancini ha dato fiducia ai giocatori laureatisi campioni d’Europa. Peccato che abbia perso per infortunio alcune tessere di quel mosaico: Belotti, Immobile, Florenzi, Castrovilli, Spinazzola, Toloi e Pessina. Ma lui non si dispera, non rientra nel suo dna: a differenza di Sarri e Gasperini, non è un “piangina” per dirla alla Brera. Alla stregua di Luis Enrique, si ritrova senza punta centrale per gli infortuni di Belotti e Immobile. Ne scaturiscono due opzioni: un tridente con Kean o Raspadori insieme agli inamovibili Insigne e Chiesa oppure un attacco senza centravanti con Bernardeschi a flottare fra le linee difensive iberiche. A partita in corso potrebbe esserci spazio per Pellegrini, uno dei giocatori più universali del nostro campionato, apprezzatissimo da Mourinho, e Berardi, utilissimo in fase di ripiegamento. Al top il centrocampo con Verratti, lodato da Guardiola dopo la sfida di Champions League, Jorginho, sempre solido, e Barella, tornato in condizione. Più Locatelli che non può essere considerato soltanto un’alternativa per fisicità, visione di gioco, capacità di realizzazione. Dietro i soliti noti con Donnarumma che si augura di non essere fischiato dai tifosi milanisti dopo il trasferimento al Paris Saint Germain. Lui dice di non essersi pentito della scelta, ma non c’è da credergli. I soldi non sono tutto.