Ma così va la vita in questi tragici giorni.

Allora immaginiamo di uscire dalle zone rosse per andare a villeggiare in quelle che, per contrasto, potremmo chiamare le zone blu, i luoghi della Terra dove si vive più a lungo. Qualche bello spirito ne ha individuate 5, ma la perla è l’isola greca di Ikarìa, situata nell’Egeo centro orientale. Deve il suo nome a Icaro che, almeno secondo la leggenda, vi cadde dopo il suo volo quando le ali di cera si sciolsero al sole. Gode di una costa di 255 km, il territorio è principalmente montuoso e offre paesaggi mozzafiato, con una natura rigogliosa e spiagge meravigliose.

Ma c’è di meglio e di più.

La vita media, in quell’isola, dura dieci anni di più che nel resto d’Europa, uno su tre supera i 90, rarissimi i tumori e le malattie cardiache, né depressione né demenza senile, la sessualità prosegue con soddisfazione fino a 88 anni e spesso oltre. (Beati gli Ikariani).

Non c’è inquinamento, poco turismo, non si vive all’occidentale. Si fa attività fisica naturale: lunghe passeggiate e lavori all’aria aperta. Si mangiano le verdure dell’orto, a metro zero. Vino rosso ai pasti. Niente burro poca carne. Tisane a volontà. Lunghi sonni di notte, con la finestra aperta e sieste pomeridiane, che salvano il cuore. Una fitta rete sociale. Cura degli anziani, mai allontanati dalla propria casa. Un forte senso della comunità.

Dan Buettner, autore di “Lezioni di lunga vita” e colui che l'ha individuata, sostiene: “Il vero beneficio sta nel fatto che le stesse cose che portano a questa sana longevità portano anche felicità”. Quando racconta questa storia si sente dire: “Appena passata la tempesta (leggi anche coronavirus) andiamo a vivere a Ikarìa”. Invece dovremmo portare lo spirito e l’essenza di Ikarìa a vivere da noi.

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Da isola ad isola. È sempre l’immaginazione che ci guida. Andiamo a trovare l’eremita che vive in un’isola della Sardegna e non ha paura del Covid-19.

Da 30 anni vive come un eremita sull’isola di Budelli nell’arcipelago di La Maddalena, nord-est della Sardegna. Si chiama Mauro Morandi, 81 anni, conosce bene l’isolamento e perciò la condizione determinata dal corona virus non lo spaventa affatto. E anzi nel suo fortino nel Mediterraneo, dove è l’unico abitante, il virus ha poche chance di poter approdare.

Morandi, un ex insegnante, arrivò sull’isola di Budelli, al largo della costa sarda, per caso mentre tentava di navigare dall’Italia alla Polinesia, 31 anni fa. Si innamorò delle acque cristalline, delle sabbie coralline e dei bellissimi tramonti e decise di restarci per sempre. Poco dopo il suo arrivo subentrò al custode precedente e, ormai 81enne, è ancora lì, dopo essersi guadagnato la reputazione di Robinson Crusoe italiano. Anche se lui spiega che "Crusoe voleva tornare". "Io voglio restare", dichiara.

Ogni notte dorme in un vecchio casolare in pietra e si sveglia al mattino circondato da una natura incontaminata. Gli piace esplorare l’isola, di cui conosce ogni anfratto, parla con gli uccelli a colazione mentre volano dentro e fuori dalla cucina. Isolato fisicamente ma sempre costantemente informato. Resta al passo con le reti televisive condividendole sui social media e su Instagram. In un’intervista con una giornalista della Cnn ha spiegato: “Ho molti followers. La ‘sua’ isola è come se fosse il posto più sicuro sulla terra. Sto bene, non ho paura, mi sento protetto qui. Budelli offre una difesa naturale totale. Nessun rischio. Nessuno può accedervi, nemmeno una barca può attraccare senza i permessi”.

Per Morandi la principale preoccupazione durante l’emergenza Covid-19 è la salute della sua famiglia, dei suoi amici, che vivono nel nord Italia a Modena, una delle aree più colpite del Paese. “Stanno affrontando tempi difficili”, dice all’emittente americana. Per l’81enne è cambiato poco dallo scoppio della pandemia. L’unica cosa è che adesso deve aspettare di più perché le persone gli portino il cibo dalla terraferma a causa delle severe restrizioni imposte per l’emergenza. E così anche le sporadiche visite dei turisti durante l’inverno sono cessate.

Morandi l’“eremita”, rimasto solo, trascorre la giornata ammirando il mare, inalando l’aria pura, raccogliendo legna, preparando i suoi pasti e – ovviamente – pubblicando su Instagram. Infine, Morandi ha alcuni suggerimenti per le persone (me compreso) costrette alla parziale solitudine a causa della pandemia. Dice che alcune settimana rinchiuse dentro non sono nulla di cui preoccuparsi, ma è invece un’opportunità per esercitarsi nella ricerca dell’anima.
 
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Mentre siamo chiusi in casa lasciamo che l’immaginazione ci porti a Ikarìa e a Budelli o, nel caso mio, mi riporti a Roma per fare un giro al Gianicolo e poi al Pincio, in una tarda mattinata di primavera, né fredda né calda con l’unico obiettivo di andare a ritrovare le tante storie raccontate dai busti di Roma: al Gianicolo la storia di quei busti che raccontano la storia dell’unità d’Italia e al Pincio dove sono celebrati artisti, letterati e scienziati, personalità note, da Orazio a Raffaello, da Santa Caterina da Siena a Giacomo Puccini.
Tanti anni fa ho passato ore ad osservare gli sguardi fieri. Le pose perlopiù severe a simboleggiare la forza dell’ideale, la determinazione. I volti definiti ad arte, i nomi ben evidenziati. Insomma, una storia composita che è la storia del Paese, anche attraverso la scelta dei suoi personaggi di riferimento, in una trama di vite più o meno note. Dimentichiamo, per un momento i personaggi storicamente più insigni. Ne prendo due quasi sconosciuti o dimenticati.

Al Pincio, soffermiamoci davanti al busto di Federico Cesi, duca di Acquasparta, realizzato nel 1849. Naturalista e scienziato, Cesi nel 1603 fondò l’Accademia dei Lincei con Johannes van Heeck, Francesco Stelluti, Anastasio De Filiis e successivamente aprendola anche ad altre personalità, incluso, pochi anni dopo, Galileo Galilei. 

È stato proprio Cesi a coniare il termine “telescopio” per l’invenzione di Galilei. E sempre lui poi approvò la definizione “microscopio” ideato da Giovanni Faber. Nato a Roma, viveva a Palazzo Cesi-Gaddi, in via della Maschera d’Oro, che elesse a sede dell’Accademia appena istituita.

Dal Pincio di corsa al Gianicolo, dove tra i tanti visi maschili, si fa notare quello di Colomba Antonietti, giovane moglie del conte Luigi Porzi, cadetto delle truppe pontificie. 

Per stare accanto al marito, sposato in segreto per la differenza di ceto, quando questi aderì alla Repubblica Romana Colomba arrivò a tagliarsi i capelli, travestirsi da uomo e combattere. Dopo varie battaglie, morì il 13 giugno 1849, colpita da una palla di cannone, nel corso dell’assedio di Porta San Pancrazio. Colomba aveva poco più di vent’anni. Garibaldi celebrò il suo eroismo anche nelle sue memorie, ricordando lo strazio di Porzi.

E, per finire, sempre con l’immaginazione prefiguriamo quello che sarà il mondo quando si supererà l’attuale crisi umana e sociale. Usciremo di casa per riscoprire un mondo che ci apparirà più bello di quello con il quale vivevamo prima dell’epidemia di coronavirus. Speriamo di esserci. Boh!

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