La cantante, conduttrice, attrice ed ex europarlamentare racconta la sua incredibile carriera, quella volta che trovò Domenico Modugno che prendeva a testate una porta nel backstage dell’Ariston, o la vittoria ben poco felice nell’anno della morte di Luigi Tenco. O quando lei, dichiaratamente anti-comunista, girò l’Unione Sovietica in tour; la prima cantante occidentale alla quale fu permesso. Solo un errore: la politica, “In Italia non te lo perdonano”.
Undici Festival di Sanremo significa aver attraversato, vissuto, tutta la storia recente del nostro paese. Vissuto in prima persona poi se ti chiami Iva Zanicchi e nella tua vita hai fatto veramente tutto il possibile. Intanto, giusto per partire dal festival, su dieci partecipazioni (l’undicesima è quella che l’aspetta a febbraio) tre vittorie, poi tour in tutto il mondo, quando ancor prima delle versioni latine di Eros Ramazzotti e di Laura Pausini, ancor prima della lirica pop di Andrea Bocelli e de Il Volo e molto prima del rock evocativo dei Maneskin, il prodotto musicale di maggiore esportazione era il bel canto all’italiana.
E poi la tv, la politica, Playboy, il cinema e il teatro, perfino la viralità con il video in cui durante una puntata di “Carramba che fortuna” si accovaccia dietro un divano evidentemente colpita da un bisogno impellente; tutto falso, tutto organizzato, lei lo ha ribadito in più occasioni, ma poco importa, la scena è comunque rimasta epica, ha raccolto milioni di visualizzazioni, irripetibile e indimenticabile. Iva Zanicchi non si è fatta mancare nulla e prosegue sulla sua strada con una grinta eccezionale.
Qual è l’emozione che prevale alla vigilia del festival? “Lo dicono tutti che questo palcoscenico ha qualcosa di speciale, di orribile, tremendo e fantastico allo stesso tempo, perché emoziona, perché vai e in tre minuti devi dimostrare di cantar bene, di essere intonata, di esprimere quello che la canzone vuole esprimere, e sai che in quel momento sono all’ascolto milioni di persone, perché credo che sia l’unica manifestazione italiana che ha un ascolto che può, nel giro di una nottata, decretare il successo di una canzone o affossarla; per cui penso che tutti i cantanti siano abbastanza tesi anche per questa ragione. Io sono emozionata, ma io mi emoziono sempre, poi quando metti piede sul palcoscenico non dico che sparisce completamente ma quasi, altrimenti non potresti cantare; e allora canti, sparisce tutto, io guardo un punto fisso e penso a quello che dico, alle parole che canto. Ma l’emozione c’è, e anche tanta”.
Effettivamente da sempre tutti gli artisti, che fossero giganti o nani della musica, hanno ammesso che si tratta di un palco particolarmente scottante… “Io in questo festival ho visto personaggi come Modugno sbattere la testa contro una porta, io ero andata da lui per cercare conforto e ho visto che sbatteva la testa contro la porta. Allora gli dissi ‘ma cosa ci vieni a fare? Hai vinto tutto, sei il più grande’ e lui rispose: ‘Io vengo qui per provare quest’emozione’”.
Undicesimo Sanremo, quante ne potrebbe raccontare…. “Be, si, una vita, ho vinto, ho perso, ho gioito, ho anche pianto… perché questo è il festival. Io sono molto grata a Sanremo perché io sono nata qua, ne ho vinti tre, sono arrivata terza col grande Sergio Endrigo con ‘L’arca di Noè’, ho presentato canzoni belle, meno belle, ho presentato una canzone bellissima che è ‘La notte dell’addio’. Il Festival è stato buono con me e potrei raccontare mille aneddoti, pensate solo alla mia prima vittoria con ‘Non pensare a me’ nel ’67, che avrei dovuto e potuto gioire come una pazza, perché una giovane che vince Sanremo all’epoca era una roba. Invece io ho pianto tutto il tempo perché tutto era funestato dal fatto che Tenco era morto. Quello è stato il festival più brutto. Mentre il più bello è stato quello con Bobby Solo con ‘Zingara’, perché lì era tutto facile, tutto bello, siamo arrivati e fin dalle prime note è stato bellissimo”.
Un ritorno al festival da esponente del bel canto, in un’epoca in cui il bel canto è quasi sparito dalla discografia italiana… “Ma io sono dell’idea che il bel canto, la melodia, noi non dobbiamo dimenticarla, perché sono le nostre origini. Adesso io non voglio andare a Francesco Guccini, Giuseppe Verdi... però qui è nato il bel canto, qui è nata la canzone napoletana che è famosa in tutto il mondo, qui sono cresciuti i cantautori, gli autori degli anni 60/70/80 che hanno scritto pagine memorabili che ci hanno invidiato in tutto il mondo”.
Si troverà in gara contro tanti artisti giovani che provengono dagli ambienti della musica più disparati, cosa pensa di questa nuova scena pop? “Io ho due nipoti: una di 19 anni e una di 23, per cui io quando mi vengono a trovare gli chiedo: ‘Fatemi sentire cosa vi piace’, e ascoltano quella musica lì. E a me piace, non la potrei mai cantare, ma mi diverte. Io adoro Mahmood, mi piace moltissimo, però porto sempre ad esempio un altro giovane cantante, che si chiama Diodato, che ha scritto una canzone che è un classico, ‘Che vita meravigliosa’: è melodia pura, fa venire la pelle d’oca. Il classico per me non muore, dipende da che vestito gli metti, io ho un vestito bellissimo, perché è un vestito che mi ha fatto Celso Valli, che è uno dei più grandi arrangiatori, e lui ha vestito questa canzone in modo bellissimo, ne sono convinta, per cui io canterò questa canzone con una grinta che voi non avete neanche idea!”.