È cresciuto in una famiglia di immigrati della classe operaia, Joseph Lo Bianco, e ha iniziato a esprimersi in lingua inglese soltanto con i primi anni di scuola. Le sue umili origini hanno segnato il suo importante cammino, tanto da redigere la prima politica linguistica nazionale in Australia e influenzare il processo decisionale in tutti gli angoli del globo.
Professore emerito alla Melbourne Graduate School of Education, è stato anche amministratore delegato del National Languages and Literacy Institute of Australia fino al 2002, nonché presidente dell’Australian Academy of the Humanities: il primo educatore, di origine non anglosassone, a essere nominato per la posizione.
Attraverso il suo impegno continuo, sostiene progetti di ricerca internazionale sulla pianificazione linguistica, sul multiculturalismo e l’educazione interculturale, fornendo anche consulenza in materia di educazione linguistica e culturale, di alfabetizzazione, integrazione di bambini indigeni e immigrati nelle scuole tradizionali e riconciliazione e costruzione della pace attraverso l’istruzione.
Lo Bianco è stato insignito di una miriade di riconoscimenti, sia a livello nazionale che internazionale, tra cui il titolo di Membro dell’Ordine d’Australia (AM) “per il servizio allo sviluppo della politica e della pianificazione linguistica in Australia e all’estero” nel 1998, e l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana “per i servizi alla ricerca e all’insegnamento linguistico, in riconoscimento dei contributi alle relazioni culturali italo-australiane” nel 1999.
Mentre condivide la sua straordinaria storia, si esprime giudiziosamente proprio come si possa immaginare; sentir parlare delle difficoltà che ha affrontato e superato nel corso della sua vita, rende i suoi risultati ancora più stimolanti.
Lo Bianco è nato nel 1953 nella cittadina rurale di Myrtleford, nell’area nord-est del Victoria, durante un intenso periodo di migrazione verso la zona a seguito del boom dell’industria del tabacco. I suoi genitori sono arrivati in Australia dopo aver lasciato il piccolo paesino di montagna Melicuccà, in Calabria; suo padre Vincenzo è giunto nel 1950 e sua madre, Antonietta, lo ha seguito due anni più tardi.
“Mia mamma ha avuto un figlio in Italia e altri tre qui in Australia – racconta, aggiungendo come sia cresciuto in una sorta di “bolla” con l’arrivo di altri parenti emigrati nella stessa zona –. Quei primi anni sono stati molto difficili per i miei genitori, c’erano tante difficoltà. Ci siamo spostati molto nel distretto, vivendo in cottage di mezzadri. Non ho avuto alcun contatto con la comunità in senso più ampia fino a quando non sono andato a scuola. È stato solo allora che ho iniziato a imparare l’inglese; la mia prima lingua era il calabrese. A quei tempi, poi, le zone rurali erano piuttosto inaccessibili e nessuno aveva accesso alla televisione, quindi in pratica avevamo contatti solo con le comunità di mezzadri nelle fattorie, è stata un’infanzia strana. I miei genitori erano grandi lavoratori e da bambini abbiamo dovuto badare a noi stessi, fino a quando non siamo andati a scuola”.
Lo stile di vita itinerante della famiglia ha avuto fine con l’acquisto di una vecchia casa e il trasferimento in città. Lo Bianco frequentava una grande scuola cattolica, che spesso aveva classi con addirittura 60 studenti. La maggior parte dei suoi coetanei erano figli di migranti, principalmente italiani, con origine veneta o calabrese.
La famiglia di fronte a Mount Buffalo nel 1961. Da sinistra: Vincenzo, Rocco, Joseph, Antonietta e Domenico
“C’erano molti pregiudizi etnici nei confronti degli italiani, quello stesso disprezzo lo ricordo anche contro i miei genitori e me stesso – continua Lo Bianco –. Ricordo la lotta per imparare l’inglese, ma anche il profondo amore che provavo nei confronti dell’apprendimento e della scuola”.
La sua mente curiosa lo ha spinto a diventare uno dei pochi bambini della zona a completare la scuola, mentre la maggior parte abbandonava le classi per il lavoro agricolo. I suoi genitori non hanno mai avuto la possibilità di terminare la scuola elementare e il giovane Lo Bianco era determinato ad andare all’università. Ha fatto però molto di più, completando sei Lauree straordinarie, incluso un dottorato di ricerca che ha intrapreso negli Stati Uniti attraverso l’Australian National University; la prima laurea in Economia alla Monash University nel 1976.
“In realtà non avrei mai scelto economia, ma non avevamo a disposizione l’intera suite di curriculum – dichiara, ridendo –. Molto di ciò che fai nella vita non nasce necessariamente da una scelta; a volte è solo ciò che è possibile oppure disponibile per te”.
Durante i suoi primi anni di università, Lo Bianco ha esplorato le cause della giustizia sociale e dei diritti umani: “Ricordando sempre la lotta dei miei genitori con l’inglese, mi sono interessato alla lingua come diritto umano ed è quello che poi ho fatto per il resto della mia vita – spiega –. Alla fine degli anni ’70, c’era molto interesse per le lingue comunitarie e i diritti dei migranti. Ho lavorato per il governo statale a Melbourne e abbiamo avviato programmi linguistici comunitari nelle scuole primarie, che erano addirittura illegali dal 1918”.
Il lavoro di Joseph Lo Bianco è stato notato a livello nazionale e l’allora ministro federale per l’Istruzione, Susan Ryan, lo ha invitato a lavorare per lei e a redarre una nuova politica linguistica nazionale: “Sono andato in giro per l’Australia e ho trascorso molto tempo con comunità aborigene, rifugiati, migranti e insegnanti”, continua, completando in quegli stessi anni anche un Master in Linguistica Applicata presso l’Università di Melbourne e una laurea in Educazione presso La Trobe University per approfondire le sue conoscenze e migliorare il suo lavoro.
Dopo diciotto mesi di scrittura, Lo Bianco ha presentato la nuova politica nazionale ai diversi rappresentanti del governo: “C’era molta pressione, un momento politicamente teso e c’erano moltissime priorità in competizione”, racconta.
Il suo instancabile lavoro ha dato i suoi frutti e la National Policy on Languages (NPL) è stata adottata nel 1987 per coprire tutte le esigenze e gli interessi linguistici dell’Australia: lingua inglese e alfabetizzazione, l’inglese come seconda lingua e le lingue diverse dall’inglese, inclusi i diritti linguistici per le popolazioni indigene, le comunità di migranti, e infine i servizi linguistici, come ricerca, traduzione e interpretariato.
Trattandosi della prima politica linguistica nazionale d’Australia e della prima politica linguistica nazionale multilingue in un Paese di lingua inglese, l’ente NPL ha giustamente ricevuto un’attenzione internazionale.
“Ha influenzato molte politiche e ho ricevuto inviti da tutto il mondo, principalmente attraverso l’UNESCO e l’UNICEF – spiega Lo Bianco –. Sono stato trascinato in qualcosa di molto più grande di quanto avessi mai immaginato. Per i successivi trent’anni, ho girato il mondo e ho continuato a ricevere inviti per tantissimo tempo”.
Ha lavorato in Canada, Irlanda, Papua Nuova Guinea, Singapore, Slovenia, Sud Africa, Timor Est, Regno Unito e Vietnam, tra gli altri; ha vissuto e lavorato in Italia, completando una borsa di studio a Venezia, insegnando all’Università Roma Tre nella capitale, fornendo consulenza sull’integrazione dei bambini migranti in Toscana e Lombardia e lavorando per l’UNICEF presso l’Ospedale degli Innocenti di Firenze, il più antico orfanotrofio al mondo. Molti dei suoi incarichi internazionali sono avvenuti in aree di conflitto, in Paesi come Sri Lanka, Thailandia, Malesia e Myanmar.
“Sono stato in grado di riunire persone che avevano sofferto per mano dell’altra – racconta –. Ho capito che le lingue possono essere ridotte a libri di testo e insegnamento, ma in fondo c’è qualcosa di molto più importante che tutti noi dovremmo imparare: la tolleranza e l’accettazione. Se le società multiculturali scivolano verso il conflitto, ci vogliono generazioni per superarlo. E per rompere tale conflitto, è necessario costruire comunicazione civile e rispetto”.
Mentre la NPL è stata seguita da periodi che hanno visto uno spostamento dell’attenzione verso le lingue asiatiche, a causa di interessi economici, e poi verso l’inglese in risposta alla ‘crisi di alfabetizzazione’ del Paese, l’organizzazione continua ancora oggi a influenzare la politica, ben 34 anni dopo. Per Lo Bianco, la chiave della sua longevità sta nella sua completezza.
“Perché non ha suggerito di avere lingue asiatiche e di dimenticare quelle europee, piuttosto ha ammesso di aver bisogno di ciascuna di esse, suggerendo di concentrarsi maggiormente sull’alfabetizzazione, ma di non ridurre tutto all’alfabetizzazione – racconta –. Le persone sono poi tornate a un approccio equilibrato, consentito dai principi della politica che ricordo di aver scritto su un piccolo aereo nel Northern Territory, tornando da una visita in una comunità aborigena a Darwin. Sono proprio coloro che hanno resistito alla prova del tempo”.
Nonostante l’era d’oro nell’insegnamento delle lingue in tutta l’Australia, scaturita dalla NPL, il nostro Paese è attualmente in ritardo rispetto ad altre nazioni dell’OCSE in questo settore, a causa della mancanza di coesione tra le giurisdizioni. Il Victoria ha di gran lunga la politica linguistica di maggior successo, mentre la Tasmania non ne ha affatto.
“La crisi dell’alfabetizzazione ha davvero danneggiato ogni cosa, perché molte scuole sono state spinte a credere che l’alfabetizzazione dei bambini avrebbe risentito del tempo dedicato ad altre lingue. Se ci guardiamo indietro, si è trattata di una convinzione molto dannosa e ne stiamo ancora oggi subendo le conseguenze – spiega il celebre professore –. L’alfabetizzazione inglese non è danneggiata dall’apprendimento di un’altra lingua, al contrario ne beneficia”.
In termini di futuro per ciò che concerne gli studi dell’italiano, Lo Bianco è stato a lungo un sostenitore di approcci immersivi, bilingue e CLIL che aumentino l’esposizione e l’uso della lingua da parte degli studenti.
“Abbiamo bisogno di programmi più profondi in cui i bambini possano raggiungere alti livelli di conoscenza e abbiamo anche bisogno di maggiori sforzi nella comunità per preservare l’uso della lingua – racconta –. Se si osservano le statistiche del censimento, c’è un continuo calo del numero di case in cui si parla l’italiano o il dialetto: migliaia di famiglie in meno a ogni censimento. Sempre meno bambini vivono in case dove sentono parlare l’italiano e la comunità dovrebbe fare di più. Quanti club italiani hanno attività basate sulla lingua? Pochissimi. Dovrebbero invece lavorare con le scuole e fornire esperienze di immersione”.
Joseph Lo Bianco è oggi ufficialmente ‘in pensione’, eppure continua a trasmettere le sue conoscenze al mondo, pubblicando per Springer e scrivendo libri, recensioni e articoli accademici; ha persino iniziato a scrivere il suo primo romanzo.
“Ho appena revisionato una fondazione per l’alfabetizzazione indigena e sto lavorando con la comunità greca per sostenere il mantenimento del greco intergenerazionale – dichiara –. Sto cercando di concentrarmi sulle lingue indigene e comunitarie. L’inglese è certamente la lingua d’Australia, quella che ci consente di comunicare, ma dovremmo anche essere in grado di comunicare in quelle lingue al di fuori delle nostre comunità”.
Oltre a tutti questi impegni, Lo Bianco trascorre molto tempo con la moglie Nicky e le figlie Hana e Sofia; è un nonno affettuoso per Noa di tre anni e Rafael di dieci mesi, e porta regolarmente la prima nipotina a un programma di scuola materna in italiano.
Sebbene abbia sicuramente percorso moltissima strada, dai quei lontani giorni nelle campagne del Victoria, Lo Bianco non ha mai dimenticato le sue radici.
“La mia vita ha affrontato tanti colpi di scena, ma tutto ciò che ho fatto nei miei primi anni è stato motivato dalla mia esperienza familiare – racconta –. Dato che la comunità italiana è così consolidata al giorno d’oggi, le persone non tengono più conto da dove veniamo: dagli incredibili sacrifici dei nostri genitori”.