BIŠKEK - Il corpo di Luca Sinigaglia rimarrà sul Pik Pobeda, in Kirghizistan, a quasi 7.000 metri di quota, nella grotta dove l’alpinista si era rifugiato prima di morire. 

Le autorità del Paese hanno revocato all’ultimo momento l’autorizzazione alla missione italiana che avrebbe dovuto riportare a valle le spoglie del quarantanovenne milanese, deceduto il 15 agosto probabilmente a causa di un edema cerebrale, dopo aver tentato di soccorrere l’alpinista russa Natalia Nagovitsyna (47 anni), bloccata sulla cresta terminale a causa di una frattura. 

Nell’impossibilità di trasportarla a valle, Luca le ha portato una tenda e del cibo affinché potesse ripararsi in attesa dei soccorsi. Poi è sceso di qualche centinaio di metri, al riparo, ed è morto.  

Secondo la giornalista Anna Piunova, del sito Mountain.Ru, un’iniezione di desametasone avrebbe forse potuto salvargli la vita, ma il farmaco era stato lasciato alla donna. 

I destini di Luca e Natalia, amici di avventure in quota, rimangono così intrecciati per sempre su quella montagna, che sfiora i 7.500 metri, nella zona di confine tra Kirghizistan e Cina.  

Persa anche ogni speranza di trovare viva la Nagovitsyna, avvistata da un drone per l’ultima volta il 19 agosto, le autorità del Paese hanno rinunciato anche al recupero del corpo dell’italiano. 

Al campo base, una squadra di italiani, formata dai piloti di elicottero Manuel Munari e Marco Sottile e dalla guida alpina Michele Cucchi, ha atteso per alcuni giorni il momento giusto per decollare, prima dell’annullamento della missione.