WASHINGTON - Il presidente americano avrebbe rinviato la decisione di intervenire militarmente, riservandosi di prendere una decisione nel giro di 15 giorni, nella convinzione che la via diplomatica sia non solo ancora percorribile ma anche l’unica per evitare di trascinare l’America nell’ennesimo conflitto dagli esiti incerti.

“Donald Trump deciderà se attaccare o meno l’Iran nelle prossime due settimane”, ha dichiarato la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, smentendo le indiscrezioni che davano per imminente un attacco degli Stati Uniti.

Secondo Washington, a Teheran basterebbero appena due settimane per produrre la bomba atomica. Qualche ora prima, lo stesso presidente aveva respinto quanto sostenuto in un articolo del Wall Street Journal, secondo il quale il presidente avrebbe già approvato i piani per un intervento militare. “Non sa nulla delle mie idee riguardo all'Iran”.

 Da quando è rientrato in anticipo dal vertice del G7, Trump ha trascorso le sue giornate chiuso nella ‘Situation Room’ con i fedelissimi. Ed evidentemente, dopo un’attenta valutazione assieme ai membri più importanti del suo governo, i vertici dell’intelligence e quelli militari, ha deciso di dare un’altra chance al negoziato.

Per il presidente la possibilità di un accordo con Teheran è “ancora sostanziale”, ha sottolineato la portavoce, confermando che in effetti i contatti tra Washington e l’Iran non si sono interrotti neanche dopo l’inizio degli attacchi di Israele, e che l’inviato speciale per il Medio Oriente Steve Witkoff ha parlato diverse volte al telefono con il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi.

“Trump ha un incredibile istinto e ha mantenuto l’America al sicuro nel suo primo mandato. Nessuno dovrebbe essere sorpreso dalla sua posizione sull’Iran”, ha aggiunto la funzionaria Leavitt, ribadendo che la priorità del presidente è impedire all’Iran di dotarsi di armi nucleari.

Secondo la Casa Bianca, basterebbero due settimane a Teheran per fabbricarla: “Ha tutto ciò che serve per produrla, basta una decisione del leader supremo e ci vorranno un paio di settimane per completare la fabbricazione di quell’arma”. È per questo che Washington ha anche avvertito che il presidente è un “peacemaker”, ma allo stesso tempo non “ha paura di usare la forza”.

Un altro segnale che l’attacco americano non dovrebbe essere imminente è la conferma della presenza del tycoon al vertice Nato dell’Aja, la settimana prossima. “Partirà lunedì”, ha detto la portavoce.

Tra le varie incognite che incombono, quello su cui il presidente vuole avere la certezza, prima di prendere una decisione è che un intervento militare raggiunga l’obiettivo di distruggere l’impianto nucleare iraniano di Fordow senza trascinare gli Stati Uniti in una guerra prolungata in Medio Oriente. Secondo gli esperti, una sola super bomba non basterebbe, e questo è quello che preoccupa di più Trump.

Prima che il presidente facesse una parziale marcia indietro rispetto ai giorni scorsi e tendesse la mano per tornare al tavolo delle trattative, Teheran aveva alzato il livello dello scontro minacciando la chiusura dello Stretto di Hormuz in caso di un’escalation della guerra.

“La possibile chiusura dello Stretto è una delle opzioni attualmente sul tavolo”, aveva dichiarato un membro del parlamento iraniano citato dall’agenzia Tass, avvertendo “i nemici della Repubblica Islamica dell’Iran che, se minacciano la nostra madre patria e il nostro popolo, subiranno di certo una risposta devastante.

Le decisioni sulle rappresaglie saranno prese di volta in volta”. Il blocco della striscia d’acqua avrebbe conseguenze devastanti in tutto il mondo. Alla sola minaccia di chiusura, infatti, il gas naturale sulla piazza Tft di di Amsterdam - Title Transfer Facility, che è il principale mercato virtuale europeo per lo scambio del gas naturale - ha superato i 41 dollari, mentre il Brent si è avvicinato a 78 dollari.