ADELAIDE - “Devi mangiare!”. In questa frase è racchiuso quanto il cibo sia centrale nella cultura italiana.

Michelle Caruso è una ricercatrice della UniSA e ha intervistato sette donne, dai 19 ai 45 anni circa di origine italiana, alle prese con disordini alimentari e bulimia nervosa. Dallo studio è emerso che nel caso delle sette donne italo-australiane coinvolte nel progetto, il rapporto conflittuale con il cibo è indissolubilmente legato alla cultura di provenienza.

Si tratta della prima ricerca che esamina come la cultura italiana possa influire nelle esperienze alimentari disfunzionali delle donne nell’Australia contemporanea. Tutte le intervistate sono di Adelaide e Caruso ha esplorato con loro la relazione con il cibo, sviluppata fin dall’infanzia. Queste donne sono state “nutrite di cibo”, come scrive Michelle, con il momento del pasto indissolubilmente legato al concetto di famiglia, cultura e identità.

“Molte di queste donne non potevano scegliere il proprio consumo di cibo durante l’infanzia, l’adolescenza e persino nell’età adulta - spiega Caruso -. Il cibo veniva normalmente imposto, provocando conflitti iniziali che si sono manifestati come problemi alimentari negli anni successivi”.

Michelle Caruso usa deliberatamente il termine “alimentazione disordinata”, in contrasto all’espressione “disturbo alimentare”, che invece implica una condizione psichiatrica. Vuole sottolineare che spesso è un paradigma culturale alla base di un problema con il cibo. 

“Le donne con diagnosi di alimentazione incontrollata, come anoressia e bulimia nervose, sono tipicamente trattate nello spettro delle malattie mentali. Invece, uno dei maggiori punti deboli dell’approccio psico-medico è l’incapacità di contestualizzare le esperienze alimentari disordinate di donne provenienti da contesti culturali diversi”, spiega Michelle, che ha scelto donne di origine italiana, forse per via della sua origine; è infatti nata a Melbourne da genitori italiani emigrati in Australia.

I risultati della ricerca si possono applicare anche a molte donne immigrate da altre nazioni dove la cultura del cibo è molto importante, anche se è ormai dimostrato che le donne italiane più facilmente soffrono di disturbi alimentari rispetto alle donne provenienti da altri Paesi europei come Spagna, Germania e Paesi Bassi.

Tre sono i temi attorno ai quali ruota la relazione con il cibo delle donne intervistate per la ricerca: “il cibo è tutto, il cibo è amore”, “fare una bella figura”, una buona impressione, ed “è il mio piatto”.

“Tutte le espressioni illustrano il simbolismo culturale e i significati legati al cibo in Italia. Nella cultura italiana tutto è cucinato con amore. Il cibo e l’alimentazione sono processi importanti che aiutano a costruire e mantenere relazioni, connessioni e un senso di casa e di appartenenza - racconta Michelle Caruso -. I ricordi d’infanzia delle donne che ho intervistato sono per lo più positivi, legati al piacere, all’amore, alla sicurezza, alla protezione e al comfort. Ma tutte hanno anche espresso un senso di mancanza di autonomia, controllo e potere personale associato al loro consumo di cibo. Ciò ha portato a una relazione complessa e conflittuale con il cibo. Attraverso le loro esperienze alimentari disordinate, le donne coinvolte nello studio sono state in grado di costruire un senso di maggior potere, controllo e auto-gestione, che le ha portate a poter decidere se consumare o rifiutare un’offerta di cibo”.

Interessante che dalla ricerca è anche emerso che la maggioranza delle famiglie italiane rifiuta qualsiasi connotazione negativa legata al cibo.

“Agli occhi di una madre o di una nonna italiana, rifiutare il cibo è simile a un rifiuto personale - racconta ancora Caruso -. E poiché le donne con un’alimentazione disordinata non vogliono arrecare vergogna o imbarazzo all’interno della loro famiglia, è improbabile che ammettano di avere un problema, convinte che probabilmente la famiglia nemmeno capirebbe”.

Il fenomeno non è di banale gestione, soprattutto nelle culture occidentali che, come l’Australia, attribuiscono un alto valore alla magrezza femminile. Questo valore spesso entra in contrasto con culture come quella italiana, che valorizzano il cibo come un momento conviviale di qualità, generando pressioni contrastanti, legate alla propria identità culturale e temporale, oltre che geografica.

“I migranti mantengono le loro tradizioni alimentari molto saldamente quando emigrano in un altro Paese”, spiega Michelle.

È un modo per restare in contatto con le proprie origini, forse quindi per gli immigrati il rapporto con il cibo diventa ancora più stretto. Michelle Caruso conclude la sua ricerca affermando che è tempo che gli operatori sanitari e le comunità etniche riconoscano il ruolo della cultura d’origine nei disordini alimentari, affinché possano essere creati protocolli e sostegni adeguati e più efficaci.