Anthony Albanese e Jim Chalmers rimangono ottimisti anche se a una sola settimana dal budget in attivo, l’ambita novità sembra già passata in seconda linea e si comincia a parlare sempre più di un nuovo intervento della Banca centrale per domare un’inflazione che non abbassa la testa come dovrebbe e, soprattutto, soffiano forti i venti di una possibile recessione.

Peter Dutton sta già facendo le prove del “ve l’avevo detto”, accompagnato da un rincaro delle critiche già rivolte al ministro del Tesoro per le spese extra annunciate nel documento di gestione e le responsabilità che il governo deve cominciare ad assumersi per le complicazioni economiche che si stanno sviluppando.

 Ma non deve illudersi il leader dell’opposizione: non c’è alcuna garanzia che il disappunto, le difficoltà, i tassi d’interesse che salgono ancora, la possibile recessione facciano cambiare velocemente idea agli elettori. Stare seduti sulla classica sponda ad aspettare non basta. 

Anzi, in tempi difficili gli elettori spesso imboccano la strada della prudenza e senza una convincente alternativa, specie quando si tratta di un primo mandato di governo, preferiscono non rischiare.

A Chalmers piace davvero (come già riportato, in base a quello che ha detto in un’intervista post-budget) l’idea di sentirsi un po’ il nuovo Keating di un governo in stile Hawke, guidato da un primo ministro che continua a mantenere un buon livello di popolarità e credibilità. Peccato però che la nuova coppia al vertice non abbia saputo trovare lo stesso coraggio di quella a cui si ispira e non abbia proposto da subito qualche vera riforma per un vero nuovo inizio. L’ambizione c’è, il coraggio un po’ meno.

Ma se Albanese e Chalmers difficilmente potranno emulare Hawke e Keating, almeno per ciò che riguarda visione e convinzioni, la Coalizione potrebbe invece ritrovarsi nella stessa situazione che si è trovata dopo la sconfitta del 1983 (giusto per rimanere in tema): debole, delusa e confusa, perché è rimasta senza idee, dopo essersi lasciata vivere troppo a lungo. Scott Morrison è stato un po’ come Malcolm Fraser (negli anni ‘70 e ‘80), con la sfortuna in più – e non è cosa da poco – di dovere fare i conti con una pandemia senza precedenti. 

La storia non è favorevole a Dutton: dopo la sconfitta dell’83, infatti, i liberali hanno perso in serie le elezioni dell’84, ‘87, ‘90 e ‘93, nonostante la crisi finanziaria del 1987, i tassi d’interesse ai valori record del 1989 e la pesante recessione del 1990-91. Tempi difficili per tutti, ma fiducia nei laburisti probabilmente perché avevano mostrato di credere in qualcosa, con le storiche riforme economiche e del lavoro che avevano apportato da subito, via il famoso ‘Accordo’ con imprenditori e sindacati, e di avere un programma per il futuro. Nel ‘93 ci aveva pensato John Hewson e la proposta della GST (tassa sul valore aggiunto) a regalare a Keating tre anni extra alla Lodge.

Un altro mondo in generale, con altri protagonisti, ma sicuramente una lezione per entrambi gli schieramenti politici di oggi: gli elettori sono pronti ad accettare sacrifici, se spiegati e c’è un chiaro obiettivo finale, e non sono così convinti, come qualcuno in casa liberale si ostina a voler credere, che la Coalizione sappia gestire meglio dei laburisti i conti pubblici.

Dutton in questa corsa verso il 2025 parte talmente indietro che potrebbe osare un po’ tutto, cominciando da una vera e forte ristrutturazione interna del suo partito che è totalmente a pezzi, a livello statale, nel Victoria e nel Western Australia, ma che anche in ambito federale presenta preoccupanti crepe, con un sistema operativo, che parte dalla selezione dei candidati, in deficit di modernità e professionalità.

Il ‘problema delle donne’, quando si parla di partecipazione e rappresentanza, è davanti agli occhi di tutti, ma seguendo giorno dopo giorno il dibattito politico nazionale, non sfugge anche il problema della mancanza di una chiara strategia politica, di un filo ideologico da seguire e di una base elettorale sempre meno solida e delineata. I nazionali, nel loro piccolo, sanno chi e cosa rappresentano, i liberali non più: le grandi compagnie internazionali? Le piccole aziende? I ‘battlers’ di John Howard?  Non certo gran parte degli immigrati o dei giovani, nei confronti dei quali le linee di comunicazione sono state interrotte da tempo. 

Nonostante l’abbastanza disperato tentativo, nella ‘risposta’ al budget della scorsa settimana, di offrire a coloro che ricevono il sussidio JobSeeker la possibilità di guadagnare di più prima di perdere il diritto di ricevere il sussidio stesso, Dutton ha mostrato di non avere un preciso piano in materia.

Ha detto no agli “aumenti inflazionistici’ annunciati da Chalmers di 40 dollari extra a quindicina, proponendo invece di passare dagli attuali 150 a 300 dollari, sempre su base quindicinale, il tetto di entrate extra senza perdere l’assegno sociale. Secondo il leader dell’opposizione un’operazione dal costo ben inferiore ai 4,6 miliardi anticipati nel budget per gli aumenti annunciati; secondo i calcoli del Tesoro però, i conti liberali non tornano: la proposta di Dutton costerebbe, infatti, circa 400 milioni di dollari in più nell’arco di quattro anni, dato che farebbe rientrare almeno 50 mila persone sotto l’ombrello del welfare. Sono dettagli, ma sono una chiara indicazione di approssimazione e di una mancanza di qualsiasi reale progetto d’alternativa. 

Un no per dire no, ma nessun vero piano, nessun vero dibattito da aprire su una diversa piattaforma programmatica. La Coalizione mantiene insomma la linea che l’ha portata al capolinea lo scorso anno; che l’ha tenuta tredici anni al palo nell’era Hawke-Keating e l’ha caratterizzata negli anni di attesa di Tony Abbott che, nel 2013, ha giocato esclusivamente sul negativismo delle divisioni interne che hanno logorato i governi Rudd e Gillard per riportare i conservatori al potere.

Poi un tortuoso passaggio delle consegne a riforme zero: da Abbott a Turnbull e quindi a Morrison. Quasi dieci anni di ordinaria amministrazione. Per forza che Albanese e Chalmers, pur allargandosi un bel po’, parlano dell’inizio di una nuova era laburista: l’attivo di bilancio dà fiducia, un raddoppio fra 12 mesi non è da escludere e uno storico (con tutte le incognite che l’accompagnano) cambiamento costituzionale sulla strada della riconciliazione, ottenuto a fine anno, darebbe un enorme vantaggio ‘morale’ all’attuale esecutivo. 

Ovvio che ci sono infinite varianti, che siamo solo ai primi 12 mesi di gestione, che soffiano fortissimi venti contrari dai fronti dell’inflazione e dei costi energetici, che le politiche adottate per una transizione altamente accelerata verso le rinnovabili qualche problema extra potrebbero anche crearlo, ma qualche piano d’azione c’è. 

Niente ripensamenti sul ‘negative gearing’, ha assicurato Albanese, dopo le voci fatte circolare dall’opposizione, ma sulla terza fase degli sgravi fiscali di Morrison e Frydenberg del prossimo anno qualche piccolo dubbio è più che legittimo, nonostante le continue smentite del momento. C’è ancora un budget di mezzo.