Per fare un tuffo servono meno di 2”. E in quei 2” tutto smette di fare rumore. Il tuffatore inspira a fondo e poi, davanti agli occhi della giuria, esegue. Poi il countdown: 1, 2, 3. E via, a prendere elevazione, ad avvitarsi o chiudersi in carpiato, a girare nel vuoto con un unico doppio obiettivo: eleganza in cielo e un’entrata pulita, senza schizzi, in acqua. Questa è la storia di Tania Cagnotto, la più forte tuffatrice italiana di tutti i tempi, nata il 15 maggio 1985.

Nasce a Bolzano, una città che da tempo era diventata uno dei punti di riferimento per i tuffi in Italia. Il padre, Giorgio, aveva contribuito a far conoscere i tuffi grazie ai suoi successi internazionali. Chiuse la carriera a Mosca, nel 1980, con la quarta e ultima medaglia olimpica, a 33 anni. “Il fatto di chiamarmi Cagnotto non mi ha mai influenzata - racconta -. Ho davvero capito la portata delle imprese di mio padre solo quando avevo già cominciato a gareggiare nelle competizioni giovanili”. 

Da bambina, Tania non temeva le altezze. Racconta come a due anni rischiò di cadere dal balcone: si era arrampicata da sola, e si era messa a cavalcioni sulla ringhiera. Non aveva paura, e già allora non le mancavano coraggio e un pizzico di incoscienza. Il suo primo sport, però, fu lo sci: troppo freddo. Poi un passaggio veloce al tennis, finito altrettanto presto. I tuffi arrivarono quasi per inerzia, senza pressioni dalla famiglia, senza un piano preciso. Come fossero la cosa più naturale del mondo. La sua routine da adolescente, una volta entrata seriamente nel giro, era segnata dalla necessità di conciliare scuola e allenamenti. “Entravo a scuola alle sette per fare corsi di recupero, alle otto ero in piscina, a metà mattina tornavo in classe. I professori mi sono sempre venuti incontro. Bisognava trovare un punto d’incontro, sono stata fortunata”. Un tuffatore, del resto, deve allenarsi tanto. Ha bisogno di essere elastico, leggero nei movimenti. Deve essere dotato di una buona muscolatura e deve curare l’alimentazione e il corpo. Al momento di entrare in piscina, poi, bisogna essere sciolti e caldi. Ma uno dei requisiti fondamentali è avere un’audacia che non conosce limiti. Ma, alla base di tutto, c’è eleganza, coordinazione, la ricerca assoluta della perfezione.

Il 1999, a un passo dal nuovo millennio, è un anno cruciale. In calendario ci sono due appuntamenti. Il primo è Aachen, in Germania, per gli Europei giovanili di tuffi. Tania, categoria Junior B (14‑15 anni), gareggia sia dalla piattaforma che dal trampolino: subito due medaglie d’oro. La seconda tappa a Pardubice, Repubblica Ceca, dove vanno in scena i Mondiali giovanili, sempre categoria Junior B. Qui Tania sale tre volte sul podio: oro dalla piattaforma e doppio argento dal trampolino. La prima volta alle Olimpiadi è a Sydney, nel 2000. Tania ha 15 anni: è la più giovane della squadra di tuffi e una delle atlete più giovani di tutta la spedizione italiana.  La Cagnotto è fuori dalla corsa per le medaglie, ma l’esperienza vale più di un piazzamento: l’importante è esserci stata, aver imparato, e aver portato a casa qualunque cosa possa essere utile per il futuro. 

“Nei pochissimi secondi istanti che trascorrono tra il fischio e il tuffo capita che ti passi per la testa di tutto. Magari pensi a chi è rimasto a casa, oppure a qualcuno che ti sta osservando dalla tribuna. Mi è capitato di sbagliare un tuffo perché non sono riuscita a isolarmi completamente dall’ambiente che mi circondava: ho avuto un calo di concentrazione, roba di un attimo, e ho compromesso la gara. Io dico sempre che i tuffi sono per il 90% una questione di testa. Puoi arrivare a un appuntamento importante al massimo della forma ma se poi hai la capoccia da un’altra parte... è finita”. 

Ai Giochi olimpici di Atene, la seconda Olimpiade della sua carriera, ci sono due ottavi posti: ottava nel trampolino, ottava nella piattaforma. “Perché vada tutto bene in una grande competizione deve prima succedermi qualcosa di negativo”. La terza Olimpiade di Tania Cagnotto è quella di Pechino dove chiude quinta, il suo miglior piazzamento olimpico fino a quel momento. 

Tania arriva alla sua quarta Olimpiade nel pieno della maturità, con un palmarès importante e una coppia di sincro ormai consolidata con Francesca Dallapé, pronta per il podio. La gara più attesa dagli italiani è quella del trampolino sincronizzato. Le azzurre partono bene, le esecuzioni sono pulite, il sincronismo preciso, gli ingressi con poche sbavature. Poi basta un tuffo leggermente sbagliato, un giudizio più severo, e si resta indietro: l’Italia è quarta. Nell’individuale la Cagnotto chiude la gara ancora quarta: due medaglie di legno nella stessa edizione, l’incubo peggiore che un atleta può vivere.  “È successa la cosa peggiore per uno sportivo: restare fuori dal podio per pochissimo. Il mio obiettivo era quello di conquistare una medaglia. Sapevo che era nelle mie corde, conoscevo le avversarie ed ero convinta di potermela giocare alla pari”. 

Alle Olimpidi di Rio De Janeiro, per Tania Cagnotto, il giorno della finale dal trampolino 3 metri femminile è l’ultima, definitiva chance di conquistare una medaglia individuale olimpica dopo una carriera segnata da piazzamenti di prestigio. Nella semifinale è solo settima. A dirla tutta, non un segnale incoraggiante. Ma quando la finale inizia, tutto cambia. I primi tre tuffi sono tecnicamente perfetti. A giocarsi tutto, restano in quattro. Le due cinesi, Shi Tingmao e He Zi, per l’oro e l’argento. Jennifer Abel e Tania Cagnotto, per il bronzo. Il quarto tuffo sembra riaprire ferite del passato: Abel esegue un salto quasi perfetto e la supera in classifica. Ma l’ultimo giro è sempre quello della comfort zone: il doppio salto mortale e mezzo rovesciato carpiato, il suo marchio. Lo esegue in modo impeccabile. La giuria le assegna 81,00 punti, un punteggio raro nelle finali olimpiche. Abel, per mantenere il bronzo, deve ottenere più di 74,00 punti: ne fa 69.00, commettendo un piccolo errore. Alla fine per l’azzurra ci sono 372,80 punti, record personale olimpico e medaglia di bronzo. Finalmente, la medaglia olimpica tanto ambita, tanto desiderata, è sua.

“A Sydney ero una bambina; l’ho preso come un gioco. Ad Atene ci ho provato, ma davanti avevo ancora troppi mostri sacri. A Pechino, un pensierino alla medaglia l’ho fatto, solo che c’è stato chi ha azzeccato la gara della vita e sono rimasta ai piedi del podio”. In Gran Bretagna, accade lo stesso. Rio, che non era ancora nel mirino, guarisce tutto, ogni ferita sportiva. Il podio è una liberazione. La storia non finisce qui: pochi giorni prima aveva infatti conquistato anche l’argento nel sincro 3 metri, sempre insieme a Dallapé. Gara pulita, chiusa dietro solo alla coppia cinese Shi Tingmao e He Zi, davanti all’Australia: per entrambe era quella la prima medaglia olimpica. Per la prima volta una atleta italiana vince una medaglia nei tuffi olimpici, sia nell’individuale sia nel sincronizzato: un risultato che scrive la storia. È il sigillo di una carriera eccezionale. “È la mia chiusura perfetta - dirà -: una medaglia olimpica e un oro mondiale li mettevo sullo stesso piano. Uno l’ho già vinto; ora ho anche l’altra”.

Dopo Rio 2016 cambia tutto. La medaglia olimpica, inseguita per una vita, è finalmente al collo. Non è un punto di arrivo qualunque: è il risultato di più di vent’anni di sacrifici e una soddisfazione che permette di guardare al futuro con più serenità. Nel 2018 Tania si ferma: nasce Maya, la figlia avuta con Stefano Parolin, e la priorità diventa la famiglia. Sembrava il preludio a un ritiro definitivo: lei stessa annuncia l’addio, convinta di aver chiuso nel modo più bello possibile. Ma nel 2019 succede l’imprevisto. La Federnuoto e Dallapé la convincono a tentare un ritorno lampo per provare a qualificare l’Italia ai Giochi di Tokyo 2020 nel sincro: due mamme, una nuova Olimpiade, la sesta della carriera di Tania. Poi, però, arriva la pandemia, il Covid, il rinvio dei Giochi. Così, l’8 agosto del 2020, Tania annuncia di essere incinta per la seconda volta. A quel punto la decisione è inevitabile: niente Olimpiadi, è lo stop definitivo. Le sue parole spiegano bene il momento: “So che molti di voi volevano vedermi ancora una volta sul trampolino e mi spiace di avervi deluso, ma in questo lockdown ho avuto tempo di riflettere e capire cosa fosse più importante per me. Non avevo più quella forza di volontà, che per vent’anni mi ha guidato, di impegnarmi e sacrificarmi nel modo che un’Olimpiade richiede. Ho sempre onorato tutte le Olimpiadi e non potevo non farlo anche questa volta”.

Si chiude così la carriera della più forte e talentuosa tuffatrice italiana. Nella bacheca ci sono 62 medaglie di cui, come abbiamo visto, due conquistate alle Olimpiadi. Le altre sono arrivate ai Mondiali (10), agli Europei (29), alle competizioni giovanili (21). A queste medaglie vanno poi aggiunti 47 titoli italiani nelle diverse specialità. Tania Cagnotto, come suo nonno Otto Casteiner quasi un secolo prima, ha tracciato un solco e una via da seguire. Un’eredità che resterà per sempre nello sport italiano e che ispirerà generazioni di tuffatori e tuffatrici.