TEL AVIV – Nonostante si sia riacceso in maniera preoccupante il fronte di guerra Medio orientale, dopo il naufragio - la scorsa settimana - del cessate il fuoco tra Israele e Hamas, nelle ultime ore entrambi gli schieramenti hanno assistito all’esplosione delle proteste di piazza.
A Gerusalemme, centinaia di cittadini si sono radunati fuori dall’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, per protestare contro l’operato del governo, nelle stesse ore in cui il premier israeliano era al lavoro per estromettere i massimi funzionari della sicurezza e della giustizia.
I dimostranti hanno sfilato per chiedere alle autorità di raggiungere un accordo per liberare gli ostaggi detenuti nella Striscia. A Gaza, viceversa, gli abitanti hanno dimostrato contro Hamas scandendo cori in cui chiedevano al gruppo terroristico di andarsene.
“Vogliamo mangiare, Hamas vai via”, urlavano i gazawi, stremati dalla guerra e dalle condizioni in cui sono costretti a vivere da quasi un anno e mezzo.
In diversi punti della Striscia sono montate le proteste che si sono estese dal campo profughi di Jabalya, nella parte occidentale di Gaza City, a Beit Lahia, nella parte settentrionale, fino a Khan Younis, nel sud di Gaza, dove i residenti hanno sfilato in corteo gridando “fuori Hamas”.
“Le manifestazioni nella striscia di Gaza sono un grido dei residenti contro le politiche di Hamas”, ha commentato il consigliere del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, che ha suggerito come unica soluzione possibile quella di ripristinare il controllo dell’Anp sulla Striscia.
“Dobbiamo concentrarci sulla rimozione di Hamas dal potere. Suggerisco all’organizzazione di ascoltare il popolo palestinese a Gaza”.
E di questa situazione potrebbe approfittare il governo di Tel Aviv che, secondo il Financial Times, starebbe studiando un piano militare per prendere il controllo e governare Gaza, complice anche il supporto incondizionato garantito dalla nuova amministrazione americana.
“La precedente amministrazione voleva ponessimo fine alla guerra. Trump vuole che la vinciamo”, ha dichiarato un funzionario israeliano al giornale statunitense. Il piano prevederebbe il trasferimento dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza nella piccola area costiera di al-Mawasi, attualmente descritta da Israele come una “zona umanitaria”.
Secondo alcuni analisti militari, sarebbero necessarie almeno quattro divisioni dell’esercito - circa 40mila soldati - per governare Gaza in modo permanente, sollevando dubbi sulla fattibilità della proposta. Intanto, il presidente israeliano Isaac Herzog si è detto “scioccato” nel constatare che la liberazione degli ostaggi a Gaza non sia più la massima priorità per il Paese.
Nella sua replica il ministro della Difesa Israel Katz ha ricordato che “l’obiettivo è riportare a casa tutti gli ostaggi”. “Se Hamas continua a rifiutarsi, pagherà in termini di territorio che verrà preso, agenti e infrastrutture che verranno eliminate”, uno scenario che sembrerebbe confermare la versione del Financial Times.
Le incursioni israeliane, nel frattempo, sono proseguite non solo sulla Striscia, ma anche su Siria e Libano, dove l’esercito di Tel Aviv ha fatto sapere di aver eliminato un comandante Hezbollah. Offensive criticate, durante la sua visita dei giorni scorsi a Gerusalemme, dall’alta rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri, Kaja Kallas.
“Questi attacchi sono inutili e rischiano di aggravare ulteriormente la situazione. La Siria, al momento, non sta attaccando Israele, e queste azioni alimentano una maggiore radicalizzazione”, ha dichiarato Kallas riferendosi alle recenti operazioni in Siria. Tel Aviv si è giustificata spiegando che queste incursioni vogliono evitare che nuovi armamenti finiscano nelle mani di gruppi jihadisti.
Dopo una notte in carcere, le autorità israeliane hanno rilasciato il regista palestinese Hamdam Ballal che, insieme a un collettivo israelo-palestinese, ha diretto il documentario No Other Land, premiato con un Oscar nelle scorse settimane. Il 36enne era stato aggredito e picchiato da un gruppo di coloni di Susiya, la città nella Cisgiordania meridionale dove vive.
“Dopo essere stato ammanettato tutta la notte e picchiato in una base militare, Hamdam Ballal è libero e sta per tornare a casa dalla sua famiglia”, ha annunciato il co-regista israeliano del film, Yuval Abraham, sui suoi canali social.