CANBERRA – Hanno abitato l’Australia ininterrottamente per 40mila anni e la loro è forse la cultura più antica al mondo, con le prime pitture rupestri e i manufatti in pietra riconducibili a oltre 60mila anni fa, eppure gli aborigeni australiani hanno dovuto attendere fino al 2008 per ricevere le scuse ufficiali da parte del governo federale, nonostante non ci siano giustificazioni che tengano.
“Chiediamo scusa per le leggi e per le politiche che hanno inflitto profondo dolore, sofferenze e perdite ai nostri fratelli australiani. Chiediamo scusa, in modo particolare, per la sottrazione di bambini aborigeni alle loro famiglie, alle loro comunità e alle loro terre. Per il dolore, le sofferenze e le ferite delle generazioni rubate, per i loro discendenti e per le famiglie dimenticate, chiediamo scusa”, dichiarò l’allora primo ministro Kevin Rudd.
È sicuramente la pagina più dolorosa della storia d’Australia, quella delle civiltà aborigene, al centro di soprusi e distorsioni intergenerazionali da ben 150 anni: privati delle proprie terre, decimati dai nuovi ceppi batterici giunti dai primi insediamenti europei, massacri e persecuzioni che drasticamente ridussero la loro popolazione, e poi la “stolen generation”, o ‘generazione rubata’, bambini australiani aborigeni e dello stretto di Torres allontanati dalle proprie famiglie dal governo federale. L’attuale generazione, infatti, ancora non riesce a superare il giogo della sottrazione della prole e moltissimi vivono in uno stato di povertà assoluta, abbandonati dallo Stato e segregati in comunità isolate dalle città principali.
L’antropologa italiana Diana Quadri, da sempre affascinata dalla cultura delle popolazioni indigene, e in particolare dal popolo aborigeno d’Australia, ha deciso di raggiungere Canberra, poco più di due anni fa, per dare voce alle sofferenze di centinaia di comunità a cui sono stati ingiustamente sottratti territorio e storia. Ricercatrice presso l’Australian Institute of Aboriginal and Torres Strait Islander Studies (AIATSIS), è infatti attualmente impegnata in un’importante iniziativa, ‘Repatriation of Cultural Heritage Initiative’ (RoCH): restituire il materiale aborigeno artistico-culturale, conservato nei musei di tutto il mondo, ai suoi custodi e proprietari.
“Mi sento onorata nel poter ricoprire la posizione di mediatrice in questo rilevante progetto – ha raccontato Quadri –; in particolare, io mi occupo della mediazione con i musei per poter valutare e confermare la provenienza di oggetti aborigeni. Rimpatriare questo materiale non è semplice, e segue sempre un confronto con le oltre 250 comunità aborigene d’Australia. Si tratta di un progetto necessario per dare loro la possibilità di riconciliarsi con il proprio doloroso passato”.
Cresciuta a Bologna, Diana Quadri ha intrapreso gli studi universitari presso la sua città di residenza, a cui poi è seguita un’interessante esperienza di volontariato in Sud America a stretto contatto con la comunità indigena Kichwa in Ecuador – “L’università italiana ti permette di avvalerti di concetti teorici, ma non ti consegna gli strumenti necessari per poter fare pratica sul campo, ecco perché ho deciso volontariamente di mettermi alla prova con l’esperienza in Sud America”, ha raccontato –, prima di raggiungere l’Australia, in cui permane l’eterna contraddizione tra società multiculturale e un passato ancora fin troppo trascurato.

L’antropologa italiana Diana Quadri, in una giornata di lavoro con le comunità aborigene d’Australia
“Mi sono sentita subito accolta dal Paese, ma dopo più di due anni sento di non essermi integrata del tutto – ha spiegato –, e di fronte a una popolazione così diversificata, moltissimi ‘bianchi australiani’ vivono ancora con la concezione che gli inglesi siano stati i primi abitanti d’Australia. Quando sono arrivata a Canberra, pensavo che la mia conoscenza del popolo aborigeno non fosse così sviscerata, e invece ho scoperto che a scuola si comincia a studiare la storia dal XVIII secolo, quando l’inglese James Cook sbarcò a Botany Bay, nei pressi di Sydney, dimenticando tutto ciò che è avvenuto prima”.
Per l’antropologa Quadri, inoltre, persistono intensi preconcetti sulla popolazione aborigena: “Durante il mio primo incontro con alcuni traditional owners di un territorio del New South Wales, mi sono resa conto dopo qualche minuto che ero già a tavola con alcuni rappresentanti della comunità, perché ti insegnano che un aborigeno debba, per forza, presentare specifici tratti estetici, dimenticando la forte influenza della società europea”.
Impegnata nel grande progetto di rimpatrio culturale, Diana Quadri procede lungo il percorso del dialogo con le popolazioni indigene di tutta Australia, in un viaggio di riscoperta affinché sia ristabilito il rapporto degli aborigeni con la propria terra, il proprio passato.
“Crescendo, mi sono sempre posta mille interrogativi, quando, ad esempio, in classe un compagno non era benvoluto perché di colore; infatti, mi reputo una grande promotrice dell’introduzione dell’antropologia alle scuole elementari, perché è una materia che accoglie tantissime sfaccettature dell’umanità – ha raccontato –. Oggi, restituire oggetti aborigeni sparsi nel mondo ai loro proprietari originari significa ridare speranza a un popolo da sempre tormentato e alle sue future generazioni. Assistere alla gioia nei loro occhi quando il materiale viene integrato di nuovo all’interno della comunità è una continua gratificazione”.