Nel cuore degli anni ‘60, un giovane Vincenzo Caputo decise di lasciare la piccola comunità di Zollino, in provincia di Lecce, per cercare fortuna dall’altra parte del mondo, in Australia. Assieme a suo fratello, si stabilì a Brisbane e lì, con grande determinazione e spirito di sacrificio, riuscì a costruirsi una carriera di successo come costruttore edile. La sua storia è quella di tanti emigrati italiani che, spinti dal bisogno e dal desiderio di una vita migliore, hanno contribuito a plasmare il volto di intere città, portando con sé l’eredità del loro passato e il sogno di un futuro migliore.
Dopo anni di duro lavoro, Vincenzo decise di tornare nella sua amata Zollino. Ma il richiamo dell’avventura e del mare era troppo forte. Assieme ai suoi fratelli, diede vita a un progetto tanto folle quanto ambizioso: costruire una barca interamente in cemento armato.
“Chi ha costruito il Freebooter sono io” - racconta Fernando Caputo -. Vincenzo è stato l’ideatore e io il progettista. Nostro padre, nonostante fosse anziano, ha dato tutto se stesso. Basti pensare che ha imparato a nuotare a 70 anni: merita davvero tutta l’attenzione per il suo contributo”.
Il progetto coinvolse non solo la famiglia Caputo, ma l’intera comunità di Zollino. All’inizio ci fu scetticismo, ma col passare del tempo, l’incredulità si trasformò in partecipazione attiva. “All’inizio ci guardavano con sospetto - ricorda Fernando - ma pian piano, vedevano che facevamo sul serio. Non era solo un sogno, era un progetto reale, tangibile, che prendeva forma sotto i loro occhi”.
Dopo mesi di duro lavoro, nel 1981 la barca era finalmente pronta. Un’imponente imbarcazione di 16 metri, con un dislocamento di 25 tonnellate e una stazza di 54 tonnellate. La sorella Maria inizialmente non voleva essere coinvolta, ma una volta che la barca fu varata, si interessò a ogni singolo dettaglio della navigazione.
All’alba di un giorno d’aprile, una lunga carovana si mise in marcia verso il porto di Otranto, attraversando le strade di Martano. L’intero paese era presente per assistere a quel momento storico. Tra applausi, lacrime di gioia e benedizioni, la barca fu varata con grande emozione. “La prima tappa fu la Grecia - ricorda Fernando con un sorriso nostalgico -. Eravamo tutti emozionati: ‘Siamo nati greci e vogliamo andare in Grecia’, dicevamo. Era come un ritorno alle origini, un tributo alle nostre radici”.
Da lì, l’avventura li portò oltre l’orizzonte, attraversando l’oceano fino all’Australia, la terra che aveva già accolto Vincenzo anni prima.
Ma come spesso accade, la vita ha modi imprevedibili di cambiare i piani. Dopo anni di navigazione, il destino dei Caputo prese una piega inaspettata. Vincenzo, ormai malato, decise di fermarsi e vendere la sua amata barca nel 1993. Il Freebooter, così si chiamava l’imbarcazione, continuò il suo viaggio sotto nuove mani, mentre Vincenzo tornava a vivere i suoi ultimi anni vicino alla famiglia. Morì nel 2009, accanto al figlio e alla sua compagna, e le sue ceneri furono riportate a Zollino da Fernando, dopo un lungo viaggio dall’Inghilterra.
“Il Freebooter ha continuato a navigare. Ho saputo che è stato avvistato in posti lontani, come la Patagonia e il Queensland, in Australia - dice Fernando con un misto d’orgoglio e malinconia -. Chi l’ha comprata ne ha fatto un simbolo per servizi naturalistici. È incredibile pensare che quella barca, costruita con le nostre mani, abbia solcato mari così lontani”.
Oggi, un gruppo guidato da Massimo Fuso sta cercando di ottenere nuove notizie sul Freebooter, di cui si sono perse le tracce circa sei anni fa proprio nel Queensland. Si spera che il prossimo capitolo di questa straordinaria avventura possa essere scritto presto, con nuove testimonianze e scoperte. Intanto, la leggenda della barca di cemento continua a vivere, tra i ricordi di chi l’ha costruita e i sogni di chi ancora oggi la cerca.