SYDNEY – Era nell’aria da qualche tempo e alla fine è purtroppo arrivata la conferma, da parte della Macquarie University di Sydney, che quattro lingue verranno eliminate dalla sua offerta. Non si insegneranno più l’italiano, il greco, il croato e il russo.
Un portavoce dell’ateneo ha dichiarato che la decisione è stata presa a fronte del cambiamento della natura dell’insegnamento e della ricerca in ambito linguistico e culturale nel settore universitario. Sarebbe alla luce di questo cambiamento che Macquarie University ha ritenuto di esplorare nuovi modi per allineare la propria offerta formativa, con i bisogni di un nuovo contesto nazionale e globale.
L’insegnamento delle lingue verrà dunque soppiantato da un nuovo corso di ‘cultura globale’ che, secondo il portavoce, darebbe nuova vita al Dipartimento, focalizzandosi sulle sfide di un mondo globalizzato e promuovendo l’impegno interculturale.
John Hajek, presidente del Languages and Cultures Network for Australian Universities (LCNAU), ha commentato la notizia con rammarico, mettendo in evidenza che fare un’affermazione sull’intero settore universitario non ha senso, soprattutto quando il governo federale sta cercando di incoraggiare gli studenti a studiare le lingue all’università, con il sostegno di tasse HECS molto basse per le lingue.
“Sembra proprio che, nonostante le affermazioni contrarie – ha affermato Hajek –, Macquarie non abbia una vera e propria visione delle lingue. Inoltre, sta riducendo l’accesso a esse eliminando il Diploma di Lingue, un modo economico per gli studenti che desiderano aggiungere una specializzazione linguistica ai loro studi”.
“La Macquarie ha da tempo dimostrato di essere leader a livello nazionale nell’offrire un’ampia gamma di lingue ai suoi studenti e alla comunità in generale – ha continuato il professore –. Qualsiasi decisione di cambiare questa situazione, chiudendo quattro programmi linguistici consolidati, avrà un forte impatto sulla sua reputazione e sui suoi rapporti con comunità importanti che, in molti casi, hanno fornito a Macquarie un significativo sostegno finanziario per sostenere i programmi. Non ha senso chiuderli quando il costo finanziario per Macquarie è minimo o nullo e comporterebbe anche la perdita di benevolenza da parte della comunità”.
A questa obiezione, il portavoce dell’ateneo ha risposto dicendo che, se da un lato l’università è consapevole che questo cambiamento avrà un impatto sulle comunità e sui gruppi culturali coinvolti, le cui rimostranze sarebbero state tenute in considerazione durante il processo decisionale, dall’altro la scelta sarebbe giustificata dai numeri in calo degli studenti iscritti ai corsi di lingua.
“Macquarie non sarà più all’avanguardia – ha ammonito Hajek – e le lingue che verranno mantenute rischiano di andare perse in una nuova megastruttura”.
Cattura l’attenzione che il tedesco sia stato graziato in questa fase di ristrutturazione, come fa notare anche il professor Hajek: “È positivo che sia stato mantenuto il tedesco, che originariamente era stato destinato all’eliminazione, insieme a quelle che sembrano essere quattro lingue più sfortunate. Non è chiaro a cosa sia dovuta la fortuna del tedesco, ma sarebbe utile che questo fosse chiarito e potesse essere usato anche per aiutare le altre quattro lingue”.
Purtroppo, nessuna informazione a riguardo è stata ancora resa disponibile dalla Macquarie University.
Anche il presidente del Comites di Sydney, Luigi Di Martino, ha espresso amarezza per la decisione della Macquarie University, anche alla luce degli sforzi compiuti per evitarla, attraverso un lavoro congiunto del Console Generale d’Italia, dell’Istituto Italiano di Cultura e del Comites, che per due volte hanno incontrato il rettore e il preside della Facoltà di Lettere, il professore Chris Dixon, nel tentativo di indurli a riconsiderare la scelta.
“Fin dal primo incontro di aprile, ci era stato fatto capire che la decisione di rimodellare la facoltà di lettere era già stata presa e che l’insegnamento delle lingue sarebbe stato sostanzialmente ridimensionato”, ha reso noto Di Martino.
“Questa decisione evidenzia, ancora una volta, l’importanza dell’investimento di risorse economiche sull’insegnamento e la diplomazia culturale. Il tedesco, inizialmente incluso tra le lingue da eliminare, è stato salvato grazie a tali investimenti. È importante che l’Italia continui a investire nell’insegnamento della lingua italiana se non vogliamo perdere terreno nella diplomazia culturale e nella promozione del Sistema Paese”, avverte Di Martino.