REGGIO EMILIA - La madre di Saman intende parlare, dare una propria versione dei fatti. Prima ancora di arrivare in Italia, nelle udienze per l’estradizione in Pakistan, Nazia Shaheen ha già detto che lei e il marito Shabbar Abbas non sono responsabili dell’omicidio della figlia 18enne, ma ad assassinarla sarebbero stati altri parenti. Ora che è stata consegnata alle autorità italiane potrà rendere dichiarazioni più circostanziate. 

“[Quella della donna] è una ricostruzione - ha detto il procuratore reggiano Gaetano Calogero Paci - che chiaramente confligge con quella accertata durante le indagini e asseverata anche dalla Corte d’assise, ma ovviamente non possiamo escludere che questa volontà di partecipare direttamente al processo da parte di Nazia non assuma connotazioni diverse e che le possa consentire di pervenire ad una diversa ricostruzione di quei fatti”.

L’appello sarà in autunno, anche se non ancora fissato. A dicembre 2023 Nazia Shaheen, unica donna imputata e unica contumace, è stata condannata all’ergastolo così come il marito, estradato un anno fa, mentre il cognato e zio di Saman, Danish Hasnain, ha avuto una pena di 14 anni e gli altri due cugini imputati sono stati assolti. In secondo grado le posizioni di tutti e cinque saranno oggetto di rivalutazione da parte dei giudici e chissà che le parole della 51enne non portino elementi di novità.

“[D’altra parte], la presenza diretta dell’imputata al processo potrà arricchire il patrimonio conoscitivo di cui i giudici necessitano per ricostruire compiutamente questa vicenda”, ha detto Paci. Latitante dal primo maggio 2021, in pratica da poche ore dopo la morte della figlia, è tornata scortata dai carabinieri e dalla polizia.