ROMA - Nella crisi più confusionaria della Repubblica c’è chi naviga a vista e chi, per dirla con il capo del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio, vaga nel “labirinto” in cerca di una via d’uscita.
Nella prima situazione si trovano Pd e Movimento 5 Stelle, indecisi sul da farsi, ma anche Forza Italia. Nella seconda Matteo Salvini, che dopo aver scatenato la crisi, ha visto fallire il colpo di mano per far saltare Giuseppe Conte e andare a elezioni subito.
Ma andiamo con ordine. Lunedì, la Conferenza dei capigruppo del Senato si è riunita per definire il calendario della crisi. Al tavolo però, dove occorre l’unanimità, si è configurata una netta spaccatura. Da una parte il centrodestra, che chiedeva di inserire nei lavori d’Aula la sfiducia al premier Giuseppe Conte già il 14 agosto e dall’altra il M5s, il Pd, Liberi e Uguali e il Gruppo Misto, che invece volevano mettere in agenda le comunicazioni del presidente del Consiglio non prima del 20 agosto. Da una parte il partito della corsa al voto subito - guidato dalla Lega e sostenuto da Fratelli d’Italia e, con minore convinzione, da Forza Italia - e dall’altra quello dei temporeggiatori. L’indecisione ha tuttavia trasferito - come da regolamento - la scelta definitiva all’emiciclo di Palazzo Madama, convocato d’urgenza dalla presidente Elisabetta Casellati per martedì.
Il risultato del passaggio in Aula era però scontato, visto che il centrodestra, anche tutto compatto, non raggiunge la maggioranza e quindi la seduta di Palazzo Madama si è trasformata piuttosto in una battaglia tattica tra le forze politiche.
Seduto tra i banchi della Lega, Matteo Salvini ha chiesto di mettere a votazione la sfiducia al premier Giuseppe Conte il giorno che precede ferragosto e di portare, immediatamente dopo, entro ottobre, il Paese alle urne. La sua corsa contro il tempo per capitalizzare il prima possibile il pieno di consensi è però irta di ostacoli, ma il leader della Lega sembra essersene reso conto soltanto dopo aver sfasciato l’alleanza di governo. Forte del fatto che il segretario del Pd Nicola Zingaretti è ansioso anche lui di andare alle urne per riprendere il controllo dei gruppi parlamerntari e sbarazzarsi di un po’ di renziani, Salvini era abbastanza convinto che un asse tra M5s e Pd non si sarebbe potuto saldare. La mano tesa da Matteo Renzi al M5s era prevedibile, visto che l’ex premier non è ancora preparato per lasciare il Pd  e portare il suo nuovo partito alle urne, ma per Di Maio accettare l’offerta sarebbe stato un suicidio politico che la Lega avrebbe sfruttato nella sua propaganda elettorale, schiacciando la credibilità dell’ormai ex alleato.
La pressione però crescente sul segretario del Pd e la granitica volontà del Quirinale di evitare il voto hanno reso, di ora in ora, sempre più concreto l’avvicinamento tra i pentastellati e gli ambienti dem che circondano la segreteria, e anche se Zingaretti tenta di resistere, ponendo condizioni inaccettabili a un’eventuale intesa di governo, quella della prosecuzione della legislatura non è più un’ipotesi assurda. Certo, resta difficile, ma non impossibile.
E allora, davanti al fallimento del suo colpo di mano, Salvini gioca una carta che per un attimo spiazza tutti e rivolgendosi a Di Maio con toni melliflui, chiamandolo “amico e collega”, si dice disponibile a votare il taglio dei parlamentari tanto caro al 5 Stelle anche subito. A patto che poi però si vada subito alle elezioni, anche a ottobre, facendo entrare in vigore la nuova composizione del Parlamento non alla prossima legislatura ma in quella ancora successiva, dal 2024.
Stavolta però il leader 5 Stelle non abbocca. “Per me l’amicizia è una cosa seria e soprattutto, i veri amici sono sempre leali”, risponde duro Di Maio. Prima di tutto, il capo dei 5 Stelle torna a chiedere a Salvini di dimettersi e alla Lega di richiamare i propri ministri dal governo, visto che non ne vogliono più fare parte. Poi, in un’intervista sul Fatto Quotidiano rincara la dose. “Dopo quanto successo l’8 agosto, chi può dare ancora credito alla sua parola? - attacca Di Maio rivolgendosi al capo della Lega -. Quello che dice non conta più nulla”. Anche quella sul taglio dei parlamentari, “è una mossa della disperazione”. “E comunque - insiste -  quando si va al voto lo decide il presidente della Repubblica, non certo lui”. Per Di Maio dunque Salvini si è messo in vicolo cieco: “Se vuole votare il taglio degli eletti - dice - dovrà prima ritirare la mozione di sfiducia a Conte. Altrimenti la votazione sul taglio slitterà a dopo quella sul premier. Ma è chiaro che, se dovesse ritirare la richiesta di sfiducia per il presidente del Consiglio, dovrebbe smentire la sua linea”. “Si è messo da solo in un labirinto”, conclude.
Intanto, dopo una seduta infuocata, la sconfitta della strategia di Salvini appare netta grazie all’asse composto da Pd, 5 Stelle, Leu, Autonomie e Gruppo Misto, che manda all’aria i piani della Lega imponendo la parlamentarizzazione della crisi, come chiesto dal premier. Giuseppe Conte si presenterà quindi nell’aula del Senato martedì 20 agosto alle 15 per svolgere le sue comunicazioni e sarà poi alla Camera 24 ore dopo, il 21 agosto, alle 11.30. Il giorno successivo, sempre alla Camera, si voterà d’urgenza, come chiesto dai 5 Stelle, l’ultimo passaggio della riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari.
Il voto sembra dunque allontanarsi  e l’uscita dal labirinto in cui si è ficcato, appare per Salvini, sempre più impervia.   LME