La più grande operazione militare della storia era legata al responso di uno scozzese e di un tedesco: il colonnello James N. Stagg, capo dell’ufficio meteo voluto dal comandante supremo Dwight Eisenhower, e il colonnello professor Walter Stobe, capo del servizio meteo al quartier generale della Luftwaffe al Palais du Luxembourg, esperto di fiducia del Feldmaresciallo Gerd von Rundstedt. Stobe dubitava che con quelle condizioni avverse gli aerei alleati potessero operare per la prevista invasione e tranquillizzò il Feldmaresciallo Erwin Rommel, mentre il collega in uniforme inglese tirò invece fuori a sorpresa, dai dati a lui pervenuti, che quel martedì 6 giugno ci sarebbe stata un improvviso quanto provvido miglioramento. Usò la formula “inattesi sviluppi nella riunione convocata alle 21 del 4 giugno e la sua sicurezza su nubi non estese oltre i 5/10 e venti ridotti fece rompere gli indugi a Eisenhower: “Non abbiamo scelta. Martedì si parte”. E fu Overlord, lo sbarco in Normandia, il Giorno più lungo.
“La più spaventosa catastrofe dell’intero conflitto”
Il capo di Stato maggiore britannico Alan Brooke appuntò sul suo diario quella stessa domenica: “Riesce difficile credere che tra poche ore inizierà davvero l’invasione. Nella peggiore delle ipotesi può rivelarsi la più spaventosa catastrofe dell’intero conflitto. Dio ci conceda di riuscire”. Eisenhower rivolse un messaggio ai suoi soldati e anche lui si rivolse all’Onnipotente affinché li assistesse in quella che chiamò “grande crociata”. Poi scrisse un altro testo che avrebbe reso pubblico in caso di fallimento, assumendosene tutte le responsabilità. La data per il D-Day era stata fissata il 17 maggio, col 30% di probabilità di doverla cambiare, e con un doppio trittico operativo: 5-6-7 giugno oppure 19-20-21. Fino al 31 maggio il tempo era stato bello, poi si era improvvisamente guastato, sconvolgendo le previsioni e i piani. Il primo giorno utile, il D-1 secondo la fraseologia militare, ovvero il 5 giugno, pioveva a dirotto e la costa francese era battuta da una tempesta, con evoluzione pessima. La mattina di domenica 4, all’esito di una riunione convocata alle 4.15 a Southwick House, era stato ordinato alle navi già in manovra di avvicinamento alla Francia di fare subito dietrofront. Era difficile mantenere ancora il segreto.
L’armata fantasma del generale Patton
I tedeschi sapevano bene che ci sarebbe stato uno sbarco in grande stile ed erano pronti a respingerlo, ma non sapevano né dove né quando. Le cautele e i trucchi adoperati per sviarli erano stati efficaci. Non si conosce esattamente perché, ma se lo aspettavano per il 18 maggio, e passata quella data in cui coincidevano diversi fattori utili ai fini militari, credettero che fino ad agosto non sarebbe accaduto nulla. Eisenhower aveva spostato a Dover l’armata fantasma del generale George Patton, di cui si simulava un’intesa attività anche con trasmissioni radio, che semplicemente non esisteva. Come non esistevano miriadi di carri armati Sherman che erano semplici gonfiabili in grado di ingannare la ricognizione aerea tedesca. Ma esisteva invece un esercito di tre milioni e mezzo di uomini, come esistevano ben 133 nuovi aeroporti e una mostruosa flotta da guerra a Portsmouth e da Liverpool fino alla Cornovaglia. I paracadutisti, ai quali spettava un difficile e nevralgico compito, con perdite preventivate attorno al 60% degli effettivi, si erano addestrati in campi e villaggi che riproducevano esattamente i luoghi si cui dovevano lanciarsi per aprire e consolidare le teste di ponte nell’attesa dell’arrivo delle truppe di terra. Gli strateghi alleati attribuivano al fattore-sorpresa il 90% della riuscita dell’invasione. Ovviamente nessun soldato sapeva nulla oltre al fatto che sarebbe stato mandato in Francia, e nell’imminenza dello sbarco i campi base furono letteralmente sigillati e nessuno poteva uscire neppure per andare al pub.
Il compleanno della moglie di Rommel
Gli strateghi tedeschi erano convinti che l’attacco sarebbe stato mosso sul passo di Calais, ovvero nel tratto più vicino a Dover e quindi ipotesi più scontata, mentre Adolf Hitler, che riteneva gli Alleati non in grado di risolvere gli enormi problemi logistici di un’invasione, in un primo tempo era orientato sulle penisole di Cotentin e di Bretagna. Ma comunque il Vallo Atlantico realizzato da Rommel pareva più che idoneo a far replicare agli Alleati il risultato dell’Operazione Jubilee, test di sbarco su Dieppe, il 19 agosto 1942, risoltosi in un completo disastro: dei 5.000 canadesi e dei 1.000 britannici (più 50 americani), ne furono messi fuori combattimento in quasi 5.000. Ma il 5 giugno Rommel si recò in automobile a Herrlingen per festeggiare il compleanno della moglie Lucia, recandole come regalo un paio di scarpe d’antilope realizzate su misura a Parigi, e lasciando al vertice della 15ma Armata a Calais una di quelle memorie operative che stilava a scadenze fisse, il giudizio sulla situazione generale, che contiene sì sospetti su uno sbarco in grande stile ma comunque nella zona del Passo di Calais, ribadendo che “l’invasione sarà decisa nelle prime 24 ore” pur non ritenendola imminente. Tant’è che è stata programmata dal generale Friedrich Dollmann una manovra (Kriegsspiel) della 7ma Armata e convocati i comandanti di divisione e gli ufficiali superiori in sala operativa per il 6 giugno alle 10.
L’invasione preannunciata alla radio con una poesia
Il capo di Stato maggiore generale Max Pemsel fece prudentemente spedire l’ordine di non muoversi prima dell’alba, ma quando il messaggio pervenne alle unità quasi tutti erano già partiti per Rennes. La sera prima il colonnello Helmuth Meyer dell’Ufficio informazioni della 15ma Arnata alle 22.30 aveva ascoltato alla radio la seconda parte della poesia di Paul Verlaine “Chant d’automne” che per convenzione scoperta dal controspionaggio allertava che l’indomani ci sarebbe stato lo sbarco, ma la sua rivelazione non venne presa troppo sul serio. I “lunghi singhiozzi dei violini d’autunno” avrebbero ferito al cuore lo schieramento tedesco ma senza alcun “languore monotono”.
Assalto alla fortezza Europa
Le cinque spiagge della Normandia (Utah, Sword, Gold, Juno, Omaha) venivano prese d’assalto dalla prima ondata della più poderosa macchina da guerra della storia: oltre 4.000 navi da trasporto per i soldati di fanteria, 13.000 aerei d’appoggio, 702 navi da battaglia, 20.000 paracadutisti di tre divisioni lanciati dietro le linee. Era l’Operazione Overlord, non un diversivo come potevano ritenere i tedeschi in un primo momento (Rommel, subito avvertito, continuò a considerarlo tale, e così Pemsel), che avevano la possibilità di dare una svolta inviando sul punto di crisi due divisioni corazzate dislocate tra Caen e Parigi, la cui competenza ricadeva sul Comando supremo e di cui Hitler si era riservato ogni decisione d’impiego. Solo che in quella prima mattinata, come di prassi il Führer dormiva, e a Berchtesgaden il capo dell’OKW Maresciallo Alfred Jodl rispose all’allarmato generale Günther Blumentritt che non era il caso di svegliarlo. L’autorizzazione a inviare le due divisioni panzer arrivò solo quando ormai era tardi e la Luftwaffe era riuscita a mandare appena due caccia Messerschmitt sulle spiagge della Normandia. A mezzogiorno a Londra il premier Winston Churchill aveva tenuto sulle corde i deputati della Camera prima di annunciare ufficialmente che quello era veramente il Giorno più lungo.