Un debutto all’insegna del carisma, della classe e dello humour quello di Julia Roberts alla Mostra del Cinema di Venezia, dove per la prima volta è venuta a presentare un film. L’occasione gliel’ha data After the Hunt di Luca Guadagnino, con Ayo Edebiri, Andrew Garfield, Michael Stuhlbarg e Chloe Sevigny, presentato fuori concorso, che affronta anche il tema del #MeToo. La diva, accolta in conferenza stampa con il regista e gli altri interpreti da un lungo applauso, ha dimostrato subito la sua autorevolezza.

Fra le prime domande, ne ha affrontata una sulla discussione creata dal film dopo le proiezioni per la stampa, in particolare sulla possibilità che la storia mini la lotta femminista, ad esempio tornando sul meccanismo di gettare un’ombra sulle accuse delle donne: “Non voglio contraddirvi, non è nella mia natura - ha detto con un sorriso l’attrice - ma quello che avete appena detto è bello perché ci fa tornare su discussioni fra donne, non perché non si supportino a vicenda, ma per affrontarle in un modo nuovo... Noi volevamo proprio che alla fine del film ci fossero tutti questi punti di vista diversi”.

Nella storia, la star interpreta Alma, stimata docente di filosofia a Yale, tanto brillante quanto apparentemente distaccata: una facciata che mantiene nascondendo in ogni modo le sue fragilità (anche fisiche). Sposata da decenni con un uomo comprensivo con cui pare non esserci più nessuna passione (Michael Stuhlbarg), la docente va in crisi quando Henrik (Garfield), un collega con cui ha un rapporto d’amicizia tanto profondo quanto enigmatico, viene accusato di molestie sessuali da Maggie (Edebiri), un’allieva che Alma considera una sua pupilla. Uno scandalo che sconvolge la facoltà e le vite dei protagonisti, tra bugie, ambizione e secondi fini, riportando anche Alma ad affrontare un trauma del passato.

A chi le ha chiesto se pensa che il film creerà controversie e sarà considerato politicamente scorretto, la Roberts ha risposto con ironia: “Amo le domande soft... Non so se ci saranno polemiche e controversie per il film, ma noi sfidiamo le persone affinché si appassionino, si arrabbino anche. Non facciamo dichiarazioni, condividiamo le vite di questi personaggi nel momento che vivono. La parte più emozionante è che le persone poi ne parlino, perché l’umanità sta perdendo l’arte della conversazione”.

L’arrivo dell’attrice, premio Oscar nel 2011 con Erin Brockovich, al Lido ha segnato non solo un momento di grande rilievo mediatico, ma anche una riflessione importante sul ruolo delle star nel dibattito culturale contemporaneo. Il suo coinvolgimento in After the Hunt non è casuale: l’attrice sceglie con cura i progetti a cui legare il suo nome, e in questo caso si tratta di una narrazione complessa, capace di scavare nelle zone grigie del potere, del consenso e della verità. Il film non offre facili risposte, ma mette in discussione le certezze e chiede allo spettatore di confrontarsi con le contraddizioni della realtà.

La scelta di Guadagnino di presentare l’opera fuori concorso è indicativa: After the Hunt non cerca premi, ma dialogo. L’intento del regista è chiaro: suscitare domande più che fornire risposte. Ogni personaggio è portatore di una verità soggettiva, in un equilibrio precario tra giustizia, empatia e responsabilità. Il film, per tematiche e tono, s’inserisce in quella nuova ondata di cinema che si interroga sul post - #MeToo, evitando manicheismi e puntando su una narrazione coraggiosa. Anche l’aspetto visivo, con richiami al cinema di Woody Allen, si fa portatore di un’ambiguità voluta: il linguaggio estetico diventa parte integrante del messaggio, sottolineando che nulla, nel mondo descritto da Guadagnino, è mai davvero come appare.

L’idea “del film che amo davvero - ha sottolineato Guadagnino - è quella di guardare a queste persone attraverso le loro verità. Ognuno ha la sua, c’è uno scontro di verità. Per un artista non ce n’è una più importante di un’altra, dipende tutto da come le percepiamo e da qual è il confine che utilizziamo per comprenderle”. Il film “non vuole essere il manifesto per far rivivere una serie di valori culturali”, ha osservato.

Al regista è arrivata anche una domanda sul perché i titoli del film ricordino nello stile quelli di Allen: “È uno stile con cui avevo già giocato in passato un paio di volte”, poi “era anche un accenno interessante per pensare a un artista che ha affrontato qualcosa di simile a quello che raccontiamo e per chiederci qual è la nostra responsabilità nel guardare alle sue opere”.
Tornando al senso della storia, l’interpretare un personaggio così tormentato “è la parte ‘succosa’ di questo lavoro - ha spiegato la Roberts –. Qui dovunque ti giri è come se ci fosse un domino di conflitti e sfide”.

Anche per la Edebiri (grande talento, lanciato dalla serie The Bear) “il personaggio di Maggie è stato particolarmente affascinante, perché nella vita come essere umano e artista sento di avere una responsabilità nei confronti degli altri, mentre Maggie non sente necessariamente lo stesso tipo di obbligo, e la sfida è stata entrare in quel tipo di prospettiva”. Per Garfield il film esplora il modo in cui “tendiamo a comportarci come animali quando pensiamo che sia questione di vita o di morte”. 

Non è mancato però il tempo anche per domande più leggere, come il rapporto di della Roberts con Venezia: “Avevo in mente un bellissimo tour turistico... e invece sono qui - ha scherzato -. Ho lavorato a Venezia proprio con Allen, per Tutti dicono I love you, ho avuto la fortuna di trascorrerci del tempo in passato, ed è un posto così straordinario, è uno dei luoghi più inspiegabili e magici che esista”.