La reazione di Adolf Hitler alla notizia dell’arresto e della sparizione di Benito Mussolini, pervenuta durante una riunione alla Wolfsschanze il 26 luglio, era stata immediata e rabbiosa. Tutti, nell’entourage del Führer, erano sicuri che in Italia sarebbe prima o poi accaduto qualcosa e già a maggio erano stati approntati piani militari per indirizzare il conflitto sotto il pieno controllo militare tedesco e impedire qualsiasi tentativo di sganciamento dall’Asse.
Quel che non era stato previsto era invece il colpo d’acceleratore nella defenestrazione di Mussolini. Hitler era stato lapidario: dopo gli insulti a Pietro Badoglio, ai Savoia, ai complottisti e ai traditori, come riportato nei verbali tedeschi, aveva dato il via libera a una serie di operazioni già sulla carta che nell’immediato avevano come premessa l’invio di divisioni ben armate al di là del Brennero.
Nelle sue intenzioni c’era l’arresto di tutta la “cricca”, del re, del principe Umberto, e persino di Pio XII (Fall Alarich e Fall Schwarz). Aveva quindi convocato il generale Kurt Student, per un colloquio privato, e gli aveva comunicato l’intenzione di liberare Mussolini, col segretissimo Fall Eiche, l’Operazione Quercia. Il generale della Luftwaffe, fondatore del corpo dei paracadutisti, era uno specialista di operazioni speciali e i suoi soldati rappresentavano il meglio che c’era in Germania per addestramento e ardimento.
Il Fall Eiche era un vero e proprio atto di guerra, ma la palese violazione del diritto internazionale con l’ingerenza armata su un atto interno di uno Stato sovrano, non preoccupava affatto il Führer. Subito era stato disposto il trasferimento della seconda divisione paracadutisti dalla Provenza per dislocarla in Italia nella zona dei Colli Albani.
Student doveva inoltre recarsi subito a Roma e prendere accordi col responsabile locale del Servizio di sicurezza (Sicherheitsdienst, o SD), l’Obersturmbannführer (tenente colonnello SS) Herbert Kappler, a sua volta incaricato dal Reichsführer Heinrich Himmler in persona di avviare le indagini. Per cercare di individuare dove fosse custodito Mussolini, Kappler sarebbe stato affiancato da una squadra di specialisti del SD agli ordini del capitano SS Otto Skorzeny al quale Hitler in persona aveva dato l’incarico di trovare il Duce e di portarlo in Germania. La presenza del SD era necessaria perché i paracadutisti non possedevano reparti di intelligence. Skorzeny aveva quindi preso l’aereo con Student e raggiunto subito la capitale italiana.
Mussolini, dopo l’arresto a Villa Savoia, era stato preso in consegna e condotto in un’autoambulanza prima alla caserma dei carabinieri Podgora a Trastevere quindi alla Scuola allievi ufficiali di via Legnano (oggi via Carlo Alberto Dalla Chiesa). È sorvegliato a vista e non ha nessun contatto col mondo esterno. La moglie Rachele solo in tarda serata era stata avvisata telefonicamente a Villa Torlonia dell’evolversi della situazione e ben presto sarà anche lei prelevata assieme alla sua famiglia.
L’ormai ex Duce, travolto dagli avvenimenti, ritiene che passato quel momento potrà ritirarsi alla Rocca delle Caminate, nei pressi della natia Predappio, a pochi chilometri da Forlì, come fosse un normale pensionato. Non solo è inimmaginabile un epilogo simile, ma Badoglio ha già deciso cosa fare di lui. Alle 19 del 27 luglio una scorta di carabinieri e metropolitani lo preleva dalla caserma e lo fa salire in una delle sei automobili di una colonna al comando del generale di brigata della polizia militare Saverio Pòlito.
Il capo della polizia Carmine Senise aveva ricevuto l’ordine dal nuovo capo del Governo di condurlo in sicurezza a Ponza o a Ventotene, con libertà di scegliere al meglio una volta verificati i requisiti delle due località. Mussolini viene fatto imbarcare poco dopo la mezzanotte sulla corvetta Persefone, che aspettava a Gaeta.
La ricognizione su Ventotene aveva subito accertato la presenza di militari tedeschi, quindi Polito aveva deciso di fare rotta su Ponza. Lo sbarco era avvenuto attorno a mezzogiorno del 28 luglio. Ironia della sorte, Ponza era l’isola dove il Duce aveva mandato al confino i suoi oppositori politici, tra cui l’ex amico e compagno dell’esperienza socialista Pietro Nenni, da poco rimesso in libertà.
Qui, lontano da tutti e soprattutto lontano dai tedeschi che lo stanno cercando dappertutto, sarebbe rimasto fino al 6 di agosto, mentre Badoglio tesseva la tela che doveva portare all’uscita dalla guerra.