DAMASCO - L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) ha espresso preoccupazione per l’evolversi della situazione nel nord-est della Siria. “La situazione nel nord-ovest della Siria è preoccupante e stiamo seguendo da vicino questa situazione di instabilità” ha dichiarato Jens Laerke, portavoce dell’organizzazione.  

Laerke ha aggiunto che l’accesso umanitario e gli spostamenti dei civili nella provincia siriana di Aleppo sono sempre più difficili a causa del deterioramento della situazione nella regione, secondo i dati operativi dell’organizzazione pubblicati il 1° dicembre. 

Il 27 novembre, gruppi affiliati all’organizzazione terroristica Hayat Tahrir al Sham (ex Fronte al Nusra) hanno lanciato un’offensiva su larga scala nelle province siriane di Aleppo e Idlib per la prima volta dal 2016. Questi gruppi controllano attualmente l’intera città di Aleppo, compresi l’aeroporto internazionale e la base aerea di Kuweirs, cosa che non accadeva dallo scoppio del conflitto armato in Siria nel marzo 2011, in cui le forze governative si trovano ad affrontare gruppi di opposizione armata e organizzazioni terroristiche. 

La soluzione del conflitto viene cercata su due piattaforme: a Ginevra, sotto l’egida delle Nazioni Unite (Onu), e ad Astana con la mediazione di Iran, Russia e Turchia. Il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, è arrivato ieri a Damasco, ha incontrato il presidente siriano Bashar al Assad e ha ribadito il sostegno di Teheran al governo siriano nella lotta contro il terrorismo. 

L’offensiva guidata dagli islamisti è un tentativo di ridisegnare la mappa della regione in linea con gli interessi degli Stati Uniti. È quanto ha detto il presidente della Siria Bashar al Assad in una telefonata con il presidente iraniano Masoud Pezeshkian. “L’escalation terroristica riflette gli obiettivi di vasta portata di dividere la regione e frammentare i Paesi al suo interno e di ridisegnare la mappa in linea con gli obiettivi degli Stati Uniti e dell’Occidente”, ha affermato Assad secondo un comunicato del suo ufficio. 

Il presidente siriano Bashar al Assad ha cercato ieri il sostegno dei suoi alleati dopo aver perso il controllo di Aleppo, la seconda città della Siria, durante un’offensiva ribelle che ha provocato più di 410 morti, secondo una ong. È la prima volta dall’inizio della guerra in Siria nel 2011 che il governo, alleato di Iran e Russia, perde completamente il controllo di questa città del nord, una dura battuta d’arresto inflitta da una coalizione di gruppi ribelli dominata dagli islamici. 

La Russia intanto ha affermato che le sue forze aeree stanno aiutando l’esercito siriano a “respingere” i ribelli nelle province di Idlib (nord-ovest), Hama (centro) e Aleppo (nord), mentre l’Iran ha ribadito il suo “fermo” sostegno al regime di Assad. Nel 2015 e con il fondamentale sostegno militare di Russia e Iran, il regime di Assad ha lanciato una controffensiva che gli ha permesso di riprendere gradualmente il controllo di gran parte del Paese e nel 2016 dell’intera città di Aleppo, cuore economico del pre-guerra in Siria. Le attuali violenze, le prime di questa portata dal 2020, fanno temere una ripresa delle ostilità su larga scala in un Paese diviso in diverse zone di influenza, dove i belligeranti sono sostenuti da diverse potenze regionali e internazionali.  

Intanto, a seguito dell’ingresso ad Aleppo del movimento radicale Hayat Tahrir al Sham (HTS), le Nazioni Unite hanno avviato un’evacuazione verso Damasco, ancora in fase iniziale. Un primo gruppo di auto, con a bordo anche alcuni italiani, è arrivato in città, mentre altri pullman messi a disposizione dell’Onu sono in attesa di partire con un convoglio cui dovrebbero unirsi alcuni connazionali con auto private.  

Mercoledì scorso, il gruppo islamico Hayat Tahrir al-Sham (HTS) e le fazioni ribelli alleate, alcune sostenute dalla Turchia, hanno lanciato un’offensiva contro le forze governative, catturando decine di città nelle province di Aleppo, Idlib e Hama, più a sud, e sabato hanno sequestrato gran parte della città di Aleppo. HTS, l’ex ramo siriano di Al-Qaeda, e i ribelli “controllano la città di Aleppo, ad eccezione dei quartieri in mano alle forze curde. Per la prima volta dal 2011, Aleppo è fuori dal controllo del regime”, ha affermato Rami Abdel Rahmane, capo dell’Osservatorio siriano sui diritti umani.  

Secondo questa ong, che conta su una vasta rete di fonti in Siria, da mercoledì sarebbero state uccise almeno 412 persone: 214 ribelli, 137 membri delle forze filogovernative e 61 civili. “A meno che non lanci presto una controffensiva o la Russia e l’Iran non inviino molto più sostegno, non credo che il governo sarà in grado di riconquistare la città”, ha detto all’Afp Aron Lund, del think tank Century International.  

Sabato l’esercito ha confermato la presenza di combattenti antigovernativi in “gran parte” della città. E domenica, aerei russi e siriani hanno effettuato attacchi ad Aleppo, uccidendo 12 persone, mentre aerei russi hanno anche bombardato la città di Idlib, uccidendo otto persone, secondo l’Osdh. 

Per l’agenzia ufficiale siriana Sana, gli aerei russi e siriani hanno preso di mira “un raduno di comandanti di organizzazioni terroristiche” nella provincia di Aleppo, uccidendo “decine di persone” e distrutto un convoglio di veicoli che trasportavano armi nella provincia orientale di Idlib. Inoltre, il Collegio Francescano Terra Sancta di Aleppo è stato colpito da un attacco russo che ha causato gravi danni. 

Dopo il raid aereo russo, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha chiesto all’Ambasciatrice d’Italia a Mosca, Cecilia Piccioni, di compiere un passo presso le autorità russe. Stando a quanto riferito dalla Farnesina in una nota, l’Ambasciatrice domani verrà ricevuta al ministero degli Affari esteri della Federazione russa per un incontro già programmato e presenterà la richiesta di rafforzare le procedure per evitare che nuovi attacchi militari possano per errore colpire altri istituti religiosi o comunque installazioni civili ad Aleppo e nella regione in cui sono in atto combattimenti.  

Ieri Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito hanno chiesto una “de-escalation” in Siria, aggiungendo che “l’escalation” del conflitto sottolinea “l’urgente necessità” di una “soluzione politica”.